L’illuminante didascalia sonora di una civiltà in via di liquefazione.
Quantomeno a livello collaborativo si respira aria (buona) di Mitteleuropa nel terzo disco di Ozmotic, già soltanto per la fattiva presenza del chitarrista austriaco Christian Fennesz e dei producer tedeschi Senking e Frank Breitschneider, impegnati, rispettivamente, il primo in due notevoli costruzioni ambientali glitch-jazz (“Remembrance” e “Diaspora”), i secondi nel remixaggio di due brani del lotto (“Rhyzome” e “Senking”). Ma questa, alla fine, rimane l’unica forma di geolocalizzazione possibile all’interno di un progetto che invece – elevando la teoria della “moderna liquidità” del sociologo Zygmunt Bauman a proprio fondamento concettuale – supera le barriere spazio-temporali trasformando in suoni moderni e trasversali la contemporanea commistione dei popoli e delle culture planetarie, fino alla loro ineluttabile liquefazione identitaria, nel bene e nel male.
Le ibridazioni soniche di Stanislao Lesnoj e SmZdrums, dunque, come pedissequa trasfigurazione musicale (e visiva) dell’odierna globalizzazione in quel loro amplesso, per nulla contro natura, di strumenti acustici (sax soprano e percussioni) e manipolazioni elettroniche, tradizione analogica e innovazione digitale, rumori arcani e vagiti futuristici. In tal senso “Liquid Times” rimane un coacervo di armonia e disordine, di carezze acustiche e abrasioni sintetiche, di iper-accelerazioni e slow motion, di frenesia metropolitana e staticità ultraterrena, dove tutto si mischia e tutto si separa come all’interno di un gioco universale privo di regole: vi bastino la grande apertura di disco affidata alla fluttuante kosmische musik di “Storming”, squarciata da un urticante sciame d’api che sembra volerla improvvisamente riportare a ben più terrestri latitudini, il notturno jazzato in salsa glitch di “Techne”, i due minuti abbondanti di desolazione ambientale post-apocalittica di “Rhyzome”, i piani sequenza etno-visionari di “Diaspora” e “Sliced reality”, temporizzati dalla 6 corde del buon Fennesz, o infine quella “Above the clouds” che incarna il climax di massima ibridazione del disco, nel suo assemblaggio musivo di krautrock, glitch music, noise-ambient, field recording, techno e fascinazioni droniche.
Se davvero la nostra civiltà, in preda alla metamorfosi più spersonalizzante, finirà per liquefarsi fino all’evaporazione suprema, i dieci brani di “Liquid Times” potrebbero diventarne a pieno titolo un’illuminante didascalia sonora.
---
La recensione Liquid Times di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-09-27 00:00:00
COMMENTI