Delle mie estati da adolescente in Veneto, in un limbo della civiltà tra basso vicentino e bassa veronese, tre erano le certezze: l’umidità, le zanzare e nella programmazione delle feste patronali (“sagre”) la presenza della serata “afro” (con selezione a cura di Dj Yano) che riusciva a resistere a tutte le mode musicali del momento. Che cosa fosse poi di fatto questa musica “afro” l’avrei scoperto più tardi solo grazie allo sharing hardware delle musicassette con i set di Daniele Baldelli (approdato ormai all’Alter Ego di Verona dopo i fasti del Cosmic) e Beppe Loda, ma il termine continuò a ronzarmi in testa. Pur coevo della italo disco, l’afro era un imprevedibile mix cucito sartorialmente dal dj di turno con brani tra synth spaziali in botta pesante d’arpeggio, bassoni funk, drum machine grezze sul 4 a picchiar giù duro, inserti vocali e strumentali.
Ma mettiamo da una parte i ricordi brufolosi e torniamo bruscamente ai tempi nostri, con un producer, Bruno Belissimo, canadese figlio di immigrati italiani, che trova nella soffitta delle soundtrack e degli ascolti questi tessuti d’antan. La missione è il cercare di unirli alla sua maniera, andando a ritroso negli ascolti fino al 1974 (quando tutto ebbe inizio) aggiungendo nuove sfumature per ogni decennio. Se è innegabile l’influenza del french touch (il mix cassa-bassline di “La violenza” urla di caschi e compiti per casa), ci sono anche forti richiami all’house di un tempo (tra i Masters at work e le selezioni/remix di Danny Tenaglia), all’italo-disco fino a sconfinamenti nella minimal e all’elettronica affettata di Todd Terje.
Ad unire il tutto, oltre alla focalizzazione in fase di arrangiamento, un basso suonato con un virtuosismo al servizio della canzone e l’utilizzo di un numero limitato di fonti sonore: qualche drum machine, pochi synth, qualche sample da b-movie, qualche chitarra, il gemello Bonito Belissimo alle percussioni e il sax di Gaetano Santoro (ex Roy Paci & The Aretuska). Ne esce un disco fresco, vario ma coeso e con un appeal anche per gli sporadici frequentatori della cassa in quattro che potranno apprezzare l’uso moderato di pattern in favore di una soluzione più “pop” di canzone. Un disco che mira ad avere un respiro internazionale proprio nel suo non essere allineato ai trend del momento e che vi riesce. Si poteva magari rischiare di più, brutalizzando lo spirito di piacevolezza diffusa e sorniona che le tracce emanano, così come sembrano andare alcune incursioni nei punti più oscuri del disco, ma ne sarebbe valsa la pena? Dal bordo della mia piscina stacco a morsi la testa di un coccodrillo gommoso gonfio di vodka e alzo il volume.
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