La sanno lunga i fiorentini Zenerswoon: hanno posizionato le loro canzoncine sul cd come astute pedine sulla scacchiera, ognuna al posto giusto, ognuna nel proprio micromondo quadrato della griglia di gioco in attesa di sviluppi successivi. Le pedine in questione hanno un solo colore, il grigio, ma dalle molteplici sfumature, tante quante sono le canzoni contenute in “There in the sun”, esordio discografico ufficiale (a parte l’autoproduzione “Allisundercontrol” del 2001) che tanto sembra voler sondare strategicamente il terreno per quella che sarà la prossima uscita allo scoperto.
Quel grigio predomina malinconicamente lungo tutte le nove tracce del lavoro ma mai con la stessa intensità, lasciando filtrare qua e là un po’ di luce e cattiveria, secondo necessità, come se i tre ragazzi toscani volessero, appunto, dimostrare che hanno imbracciato sì gli strumenti dalle parti della psichedelica più ruvida ma che se solo volessero - o se solo venisse chiesto loro - sarebbero in grado di edulcorare il tutto con manciate di pop o di incattivirlo ancor di più con frustate di noise.
Con la tipica postura ipnotica dei ‘fissascarpe’ anglo-americani che hanno fatto storia - dai Sonic Youth ai Jesus & Mary Chain, senza però averne la stessa coerenza artistica di fondo - gli Zenerswoon si smarriscono per strada nel suonare con asettica passionalità nove episodi ben confezionati che niente ci svelano però della mappatura genetica della band né ci mostrano la via di fuga sonora perseguita dalla stessa.
L’alternanza di matrici musicali - peraltro affidata alle sole oscillazioni umorali delle chitarre - che voleva forse, nelle intenzioni della band, palesare una versatilità d’esecuzione finisce poi per regalarci una visione distorta ed erroneamente onnicomprensiva di certo indie-rock dai compassati vocalismi pop e dalle prevedibili, e ineluttabili, digressioni strumentali, per quanto efficaci e piacevoli all’orecchio. Il disco resta, nel bene o nel male, qualitativamente equilibrato con brani dal basso contenuto calorico - come “Glasses and chains”, “Two flies”, “Fold”, “Keep me inside” - e altri invece che, seppur derivativi, si meriterebbero ascolti compiacenti: mi riferisco nella fattispecie a “Circus” (scheggia impazzita di rock dalle travolgenti compressioni a scalare di chitarra, quasi metal!), a “Trust no one” (delicata carezza melodica con inserti di tastiera che rimanda allo psyco-pop degli Alan Parsons Project), a “Cold train” (strumentale notturna da film poliziesco per il suo giro di basso circolare e la spirale finale di chitarra), a “By the riverside” (languido riverbero di lontani echi folk-psichedelici anni ’70) e al suo suntuoso contraltare “After the feast” (stoner-blues lisergico dal finale travolgente).
Bravi a metà gli Zenerswoon: ad una sovrastruttura melodica corposa e a tratti irresistibile, delineata dalle chitarre e dal basso, corrisponde una struttura vocale monodimensionale che, quasi sotto le righe, non riesce a sfruttare le potenzialità del tappeto sonoro. Ma sono solo impressioni: non me ne vogliano i miei corregionali se affermo che dischi così brilleranno pur sempre come perle nello scialbo panorama rock italiano a patto però che ciò non diventi un alibi per guardare - e sistematicamente ‘pescare’ -, alle produzioni alternative d’oltreconfine.
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La recensione There in the sun di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-09-21 00:00:00
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