Gli Hobos in Dust si distinguono per un gusto non proprio italiano in questo loro primo disco
L'esterofilia è una tendenza che ha colpito l'Italia e gli italiani in una maniera irreversibile.
Forse gli esempi nostrani non sono così apprezzabili e coinvolgenti da influenzare le tendenze, le scelte di vita e di linguaggio. Si volge, quindi, lo sguardo oltreoceano e lo strapotere Made in USA ci invade senza neanche rendercene conto.
Il primo disco degli Hobos in Dust è esattamente questo: l'esempio di quattro giovani ragazzi che hanno proiettato loro stessi e la loro musica verso lidi poco italiani e lontani dalla cultura del nostro paese.
In "Capitan's Tale" risuonano atmosfere indie folk alla Edward Sharpe and the Magnetic Zeros e l'euforico suono dei Bastille.
La cosa positiva di questi sette brani è la credibilità, infatti se non sapessimo che Danilo Rota, Giorgio Pesenti Nicola Regonesi e Paolo Zanchi sono quattro bergamaschi non ci accorgeremmo mai che il disco proviene dalle menti di quattro italiani.
"Capitan's tale" si apre bene con due brani coinvolgenti: "Set Me Free" e "Daedalus", entrambi estremamente ritmati e belli da immaginare dal vivo; chitarra, voce, percussioni e battiti di mani che tengono il tempo. Bella la chicca del ritornello fischiettato in "Daedalus".
Si prosegue con "Man on the Moon", il racconto del primo uomo sulla luna e della solitudine che la popolarità guadagnata con un evento simile può portare. Danilo Rota incanta con una voce profonda e con una buona padronanza dell'inglese, come dimostra l'interpretazione di "Cherry Wine", quinto brano del disco: una voce calma che quasi sussura le parole accompagnata dalla chitarra che rievoca tipiche sonorità di Nashville.
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La recensione Capitan's Tale di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-06-22 00:00:00
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