Lo ZOO di Berlino
RIZOMA-ELEMENTS 2016 - Psichedelia, Progressive, Post-Rock

RIZOMA-ELEMENTS
06/09/2016 - 10:00 Scritto da Giuseppe Catani

Post rock e sperimentazione da un gruppo ottimo, con tanti ospiti importanti: un disco audace e ben poco rassicurante

Un lato A e un lato B. Oltre a dei file mp3 e a un cd, c’è un 33 giri da inserire sotto la puntina. Un vinile necessario. Per mostrare al meglio le due facce dello Zoo di Berlino e di “RIZOMA-ELEMENTS” e una (doppia) copertina che merita attenzione. Realizzata nientemeno che da Dario Fo, con tanto di rimandi (consapevoli o no che siano) ai disegni finiti su di un’altra cover, quella di “Ho visto anche degli zingari felici”, pietra angolare della discografia di Claudio Lolli.

Partiamo da “RIZOMA”, ovvero dal lato A. Cavalcate post-rock, un Hammond acido che imperversa, architetture poliziottesche, tracce di psichedelia e di prog. Quattro pezzi strumentali (come tutto il resto dell’album), ricchi di un forte impatto suggestivo, dal suono compatto, a volte frenetico (“Su.sy”, “Mog”), altre più rarefatto (come in “Biorchino” o nella prima parte di “Rhd”). E sin qui ci siamo. Però il meglio deve ancora arrivare. E il meglio è tutto in “ELEMENTS”, il lato B, una seconda parte più devota alla sperimentazione, all’avanguardia, a una sorta di anarchia organizzata. La versione de “L’Internazionale”, per esempio. Lo Zoo di Berlino la prende e prova a piegarla a sua immagine e somiglianza. La dissacra, se vogliamo, la riduce a pezzetti come dovesse finire all’interno di una striscia di Blob: e questa è una certezza. Tra il flauto di Stefano Belisari, in arte Elio, e le tastiere di Patrizio Fariselli (mai sentito parlare dell’esibizione degli Area al Festival del Parco Lambro edizione 1976?), si inseriscono i proclami antirazzisti (!) di Jean-Marie Le Pen preceduti, ma guarda un po’, dal “Vaffanzum” di “Amici miei”, mescolati assieme al riff di “Jumpin’ Jack flash” e, tanto per non farsi mancare nulla, il finale è lo stesso di “La terra dei cachi”. Un patchwork assai poco solenne, per nulla confinante con il politicamente corretto ma coraggioso e personalizzato al meglio. Come tutto il resto. Il noise zappiano di “Laogai (1000 plateaux & capitalism)”, il trip spaziale di “Planetarium Rome” e il progressive feroce, condensato da qualche accenno math, di “R.P.M.”, confermano la bellezza di un disco audace e ben poco rassicurante.

 

 

 

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