Atteso, attesissimo, ecco finalmente "Mechanics", l’esordio lungo di Fabrizio Martina aka Jolly Mare; salentino, una laurea in ingegneria alle spalle. Un lavoro maturato in quasi due anni, senza fretta e che viene da lontano: già nel 2014, dopo aver partecipato alla RBMA, Fabrizio aveva fatto ballare l’accaldato pubblico della sala Red Bull al Sonàr, in terra iberica. È stato bravo a non cavalcare l’immediata onda di consensi, traslando verso la musica l’abnegazione allo studio, il sacrificio, la concentrazione e la voglia di apprendere.
"Mechanics" è una celebrazione disco funk, a briglie più che sciolte e di un entusiasmo fulminante. Una mélange di suoni, ritmi e armonie che si compattano in una composizione fresca e organica.
Già dall'apertura dell'album si intuisce che aria tira: melodie care a certe sigle da pre-film del lunedì sera RAI, effetti laser, trasposizioni cosmiche al pari di Todd Terje. L’album si pregia di riferimenti retrò che rimandano ad una solida discografia italiana, databile tra i '70 e gli '80, che spazia dai varietà di Enzo Trapani alle sonorizzazioni di Piero Umiliani, ma soprattutto ad alcune immense prove dei grandi della musica nostrana: oltre a Stadio e Lucio Dalla (davvero chi usa un synth in produzione riesce a non considerare imprescindibili le tastiere di questi due nomi?), la mente vola a riscoprire passaggi lieti a Gianni Bella, Loredana Berté o il primo Vasco Rossi.
"Mechanics" gode di una freschezza in fase compositiva studiata e curata: qui si “jamma" sul serio, difficile trovare più di quattro battute uguali in un album che riduce al minimo indispensabile il supporto computerizzato, per dedicarsi agli strumenti e al suono vero. A volere sezionare e scomporre questo esordio non si può non rimanere stupefatti dalle varie parti che lo compongono: tastiere lanciate a mille all'ora che suonano come se fossero state risvegliate da 25 anni di ibernazione naturale, dimostrando quanto studio e quanta ricerca siano stati fatti prima di premere il tasto record. A pari merito la parte ritmica del “business”: Jolly Mare evita accuratamente la facilità della cassa 4x4 “ready for the dancefloor“ ma costruisce variazioni continue, stacchi, controtempi, alternando aggressività a spazi di relax, divagazioni propense al viaggio mentale e solide celebrazioni da ballo. I bassi poi, mai d’accompagnamento, sono pure elaborazioni di alta tecnica musicale: immaginiamo che l'incontro con Mr. Thundercat ai tempi della RBMA abbia fatto maturare più di un frutto.
Non mancano poi i cantatoni, i pezzi da super classifica show: ed eccolo il "telegattone sui tetti" che balla e canta "Hotel Riviera", punta di diamante di "Mechanics", pezzo pop tricolore. Forse è per quello stacco realista in cui si parla di calzini che tirano e di un caffè, ma la mente ci riporta ad un grandissimo Califano. Infine i due colpi di genio: l'entrata di "Temper", una marcia irresistibile di percussioni degne del ballo di San Vito, ouverture a uno dei pezzi più celebrati e suonati di questo ultimo periodo (se n'è accorta anche BBC Radio1); e poi quel “uhm uhm” in accompagnamento di "Steam Engine", puro Jolly Mare style, su cui si suderà più di una t-shirt.
I capolavori li decide la storia, qui noi ci permettiamo di dare solo un suggerimento: "Mechanics" dovrebbe entrarci di diritto, raramente a memoria abbiamo trovato una tale completezza in un album di questo genere musicale, raramente ogni traccia di un lp ci ha lasciati a bocca aperta come le "meccanologie organiche" di Jolly Mare.
Da Punta Suina a Lignano Sabbiadoro, tutta Italia canterà e ballerà Jolly Mare. E oggi ci troviamo a celebrare quello che abitualmente viene definito un esordio col botto, che rischia di fa parlare di sé per anni.
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