Il sogno evocativo scritto dai Plants
“Yosemite” non trascurabile per la sua peculiare fierezza, è la pregiatissima composizione diretta discendente del dreampop e dello shoegaze che partì a metà anni ’80. Fraseggi frastagliati di effetti di chitarra e riverberi ritmici, sono l’inizio perfetto del racconto dei Plants con Tales from the Space Echo. Meno collocabile è la direzione e l’interpretazione vocale che non sembra appartenere né alla presenza narrativa di Lou Reed, né all’evanescente espressività di Jim Reid o Ian Brown, evidenziando invece un’intonazione e una pronuncia non sempre così a fuoco, senza scalfirne la riuscita del brano più completo del complesso capitolino.
“Lullaby” è sognante quanto basta, portandoci in una dimensione di ballad sperimentale frapposta tra i primi Verve e i Radiohead grazie ad arrangiamenti asciutti e di carattere dal gusto dei primi anni ‘90. In piena ispirazione Joy Division e dall’animo dark dei Bauhaus, la band rivela la sua attitudine più scura nel pezzo “I.W.T.K.” senza che si disperda l’identità del gruppo, spingendo invece ancor di più le intenzioni post punk, già rintracciabile nella rigidità della seconda traccia “Wild Circle”, necessaria per definire il percorso artistico del trio.
Tra le pagine meno note ma al contempo significative di un disco di buon livello, prende spazio il brano “Nyx”, la quale crea con originalità e discrezione un gioco d’attese più soft rispetto al resto del repertorio. In seconda battuta arriva “Live’n’Go”; a far apparentemente da chiosa a Tales from the Space Echo, lasciando così intravedere una certa ecletticità della band a non calcare troppo la mano sui cliché dei generi underground, cimentandosi invece in un sound più equilibrato tendente ai synth disco, con una sperimentazione che ha già visto protagonisti sapientemente musicisti come i Tame Impala artefici dell’album "Current".
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La recensione Tales From The Space Echo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-06-11 00:00:00
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