Dall’apparente delirio iniziale dei suoni analogici, gli High Mountain Bluebirds rompono gli indugi con “Peter Fonda I Love You” in un equilibrio che passa dall’orecchiabilità del pop alle sonorità psichedeliche americane dei primi anni ’70. Premesse che non bastano alla band veneta, che incide brani impreziositi da una buona linea di basso ma non così memorabili quali “Pierce the Sun” e “Tombeur De Femmes”, culminando con “Dew”, che si giova della presenza dell’organetto e dalle chitarre western.
Il brano “High Class Glasses”, che sposa gli arrangiamenti alla “Lady Jane” dei Rolling Stones ed effetto in reverse, ha l’ambizione di voler essere il pezzo più contemplativo del disco. Al contrario, povero di buone intuizioni creative, si contrae nella sua monotonia in un’operazione di maniera. Difatti il gruppo risulta più disinvolto in composizioni meno compassate, e non a caso seguendo lo stesso filone della psichedelia meditativa, “Kids Summer Garden” raggiunge una maggiore sintonia grazie alla buona qualità della melodia pop del pezzo.
“Kamadeva”, gravata dalla scelta di essere forzatamente la canzone di chiusura con la ghost track che la contiene, non è altro che un loop infinito di un fraseggio di chitarra perpetuato per tutto il brano. Pezzo che sancisce in modo definitivo una visione piuttosto disimpegnata e un approccio superficiale da parte della band.
"Dewdrops and Satellites" nella sua modestia è un progetto dalle deboli fondamenta, dove furore ed entusiasmi hanno provocato un mancato approfondimento e abnegazione nello studio dei pezzi stessi. Quasi a sorpresa il materiale più ispirato, in parte svincolato dal resto della produzione, è riservato alla canzone più corta dell’album “I Know That It Hurts”, dove i frammenti di garage rock prendono il posto del pop, andando a deformare in modo più diretto una psichedelia mai così incisiva. Sperando che tornino presto alla qualità cui ci avevano abituati con le precedenti uscite.
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