Il buon album di debutto per il combo blues torinese, con il suo sound fresco ma con radici ben solide nel Sud degli States
Disco d’esordio per i Fratelli Tabasco, quintetto dedito al sound degli Stati Uniti del Sud, che sa modernizzare e rinfrescare in maniera abbastanza personale, pur non distaccandosi dagli stilemi tradizionali ed eterni del blues.
Il lavoro è registrato dal vivo ed in presa diretta ed è questo, a mio avviso, l’elemento che rende l’ascolto accattivante, perché coglie attimo per attimo, battuta dopo battuta il rapporto dinamico che la band sa instaurare con il pubblico, capacità che reputo imprescindibile per chi suona la musica del Diavolo: il peccato si deve compiere in due, per condividerne il gusto e reggerne poi il fardello della colpa.
I Fratelli si presentano sul palco con “Radioactive Mama”, partendo in scioltezza con un blues elettrico e teso, guidato da una chitarra carica di funky e sudore su un tappeto intessuto dall’hammond. Il pubblico inizia a reagire, ad entrare nel loro mondo e applaude. Neanche il tempo di riprendere fiato, che attacca il riffone di “Ask Yourself”, un boogie sporco, che porta con se l’odore dei bordelli della Louisiana e che si conclude in un amplesso tra hammond e chitarra. Ritorna la sinuosità e la tastiera si esalta in “Up All Night”, mentre il fuoco dell’Inferno a poco a poco invade il palco, seducendo e conquistando i presenti, per poi, nella successiva “Harmonic Drive”, sfinire ogni loro resistenza trasportandoli sull’orlo di quella perdizione che regnava nei barrelhouse tra whisky, cheap beer e cosce aperte su richiesta. In “Same Damned Shame” l’incendio raggiunge al culmine, la voce ruggisce, la sezione ritmica picchia solida e martellante e la chitarra sferraglia macinando riff. A questo punto dello show, la band sente di avere la scena e l’audience in pugno ed affonda il colpo con la losca e viscida “Jack Knife”, in odore di Screamin’ Jay Hawkins e voodoo, e poi ancora con il torrido funky di “Blues On!” e la dura elettricità di “DQTHL”. Chiudono l’esibizione con l’esaltante “Boris Boogie”, quasi uno jump blues nello stile di un Big Joe Turner incattivito e rauco.
Prima prova superata alla grande per i cinque Fratelli torinesi: il blues è la loro missione e loro diostrano di avere le spalle larghe e la giusta attitudine per poterla affrontare.
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La recensione The Docks Dora Session di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-09-13 00:00:00
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