Come i protagonisti del quasi omonimo romanzo di Pratolini, anche i personaggi di queste canzoni vivono le loro storie di provincia cercando rifugio nell'amore e nei sogni (ma con la consapevolezza che nemmeno questi potranno salvarli). Rifugio da nuove forme di povertà, dalla società dei centri commerciali, delle droghe senza nome, dell'aperitivo nei locali tutti uguali, delle camere in affitto e dello smarrimento.
Come nei libri di Pratolini, anche lo stile dei (concittadini) Kelevra ambisce al (neo)neorealismo, che raggiunge con i mezzi che gli competono, e cioè con una forma-canzone popolare e radiofonica. I Kelevra potrebbero essere in pratica dei Modà che fanno musica decente (passatemi l'ossimoro), che hanno letto qualche libro e che hanno frequentazioni migliori (vedi il featuring di Davide Toffolo): sentimenti e turbamenti in primo piano ma trattati cercando di non essere stucchevoli (anche se c'è qualche “sogno” di troppo nelle liriche, diciamolo), rock melodico con un occhio alla tradizione italiana e una a quella anglosassone, uno alle raffinatezze dei La Cruz e uno alla tamarraggine dei Timoria, uno alla ricerca del pezzone singalong ma anche alternative e l'altro pure.
Una buona soluzione insomma, per chi non pretende davvero un corrispettivo musicale di Pratolini, ma nemmeno si accontenta dei Kekko che ci sono in giro.
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