Band rock diviso orchestra jazz, più sintetizzatore, moltiplicata per una voce soul ma anche blues uguale?
"Pop Hurt".
Prima di ascoltare questo album, terzo della formazione bresciana The Lemon Squeezers, non sarebbe stato affatto semplice rispondere al punto interrogativo sopra. Da oggi in poi potremmo però proporre come spontanea soluzione all'equazione questa sequenza di undici canzoni, naturale conclusione dei primi dodici anni di carriera del gruppo.
Da "Miss Butterfly" a "Monkey", infatti, si passa senza alcun tipo di sosta dal basso elettrico al contrabbasso, dal sax al trombone, dalla batteria alla drum machine, dal synth di stampo eurodance a quello sincopato della dubstep.
Se poi consideriamo che la voce di Laura Bonomi ha la capacità di balzare dallo stridente e graffiante timbro blues di "Low Shelf Frequency" al soul-funky di "Reload" ecco che il progetto musicale creato a pennello per questo album sembra raggiungere la famigerata chiusura del cerchio. Addirittura in pezzi come "Love Love Love" entrambe le facce vocali coesistono perfettamente. In "Pop", secondo pezzo, è lecito azzardare che le sfumature stilistiche vocali siano persino tre. Si è aggiunta alle precedenti un ritornello extra-dance, dove la voce non può che esprimere semplicità e voglia di impiantarsi nella testa di chi ascolta.
Di base, dunque, le variabili del teorema soprannominato "Pop Hurt" sembrano essere in maniera del tutto oggettiva condizione sia necessaria sia sufficiente per conquistare un vastissimo dominio di apprezzatori, nuovi fan ma, soprattutto, gente che ama saltare e ballare. Perché in fin dei conti sembra essere questa la natura e l'obiettivo principale di "Pop Hurt": ogni singola traccia è motivo di movimento, groove, sudore e spensieratezza.
Non resta a questo punto che ritrovarsi tutti quanti insieme, magari ad un festival estivo, per gustarlo live.
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