Con "Chemical Blues" possiamo partire subito affermando che questo è un disco compatto, centrato e che funziona davvero bene. Tutti i brani, che spaziano sapientemente e con disinvoltura fra il rock più classico e il blues più potente, hanno la particolarità di accogliere suoni più acidi, rendendo il tutto più interessante e "costruito". Basti sentire, ad esempio, le chitarre ipnotiche di "Mr Whoo Hoo Yeah", la sfrontatezza di "Lipstick", che scuote con i suoi assoli funambolici, o le ammalianti "The City Of Taste" e "Mr Grave". È come ascoltare i Franz Ferdinand ora più spigolosi (la pulsante "Queen"), ora più leggeri (l'incisiva e snella "Outlaw"), passando per i ritmi incalzanti di "Liar", le forti basi electro di "Chemical Blues" e le cavalcate di "Drugs", con il suo basso grezzo. I suoni sporchi e spigolosi fanno da padroni a tutto il disco ("20 Years" ne è un classico esempio) e il sound generale è corposo, sostanzioso, senza lasciare buchi in qua e in là, ma filando liscio dall'inizio alla fine, tirando le marcie dove necessario e prendendo fiato dove consentito ("Too Late Jesus").
Gli Slowmother continuano nella strada già precedentemente imboccata, con netti miglioramenti tangibili e apprezzati e "Chemical Blues" potrebbe davvero gettare le basi per altri bei lavori futuri. Per adesso ci godiamo questi quaranta minuti fatti di soluzioni interessanti e tanta carica esplosiva, nell'attesa di poter scoprire ulteriori sfaccettature di una band che pare proprio sapere cosa -e come- fare.
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