Piegare la carta è una vera e propria arte, che richiede pazienza, abilità certosina nelle mani e soprattutto tanta creatività. La scelta di intitolare un disco con parole di chiara derivazione e ispirazione a questa antica e sapiente tecnica orientale diventa quindi una manifestazione di intenti, che invita ad attendere pazientemente la manifestazione di un qualche cosa di sonoro che “presto” – concetto piuttosto relativo per l’epoca in cui viviamo – farà la sua comparsa.
In questo senso, le prime tre tracce dell’album di Simona Armenise sono proprio una preparazione, un’attesa spasmodica, a tratti anche snervante, di una detonazione sonora che avviene dall’incontro con il leggendario bassista degli Area Ares Tavolazzi, con il quale crea un trittico, o meglio una suite dentro la suite del disco stesso, in cui si respira tutta la rarefazione e la artigianalità di fare musica mescolando influenze, stili ed arrangiamenti differenti.
La triade “Thor’s Well” – località per altro affascinante, situata in Oregon, Stati Uniti – è un piccolo capolavoro di atmosfere forti come l’acqua e al tempo stesso leggere come l’aria, dove l’abilità strumentale del duo Armenise-Tavolazzi gioca al limite tra la ambient e John Cage, tra il rumore di fondo e la musica elettronica, di cui l’ultima traccia ne è un marcato esempio, riuscendo a fondere melodie orientaleggianti ai beat più spinti di drum machine.
Il tutto amalgamato e fuso all'interno di un disco che, se ascoltato con calma e cura, può regalare emozioni intense e al tempo stesso contrastanti tra loro.
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