Un fascinoso pot-pourri di aromi rock-elettronici ‘80-'00, che però a tratti rischia di essere disorganico
Se i Sisters Of Mercy avevano affettuosamente soprannominato “Doktor Avalanche” la loro inseparabile drum machine, giusto per umanizzarla un tantino, i baresi Leland Did It battezzano con il nome di “Cake” la loro imprescindibile consolle a trazione elettronica, atta a sprigionare tutte le tossine sintetiche del loro sound ibridato: praticamente una postazione mobile carica di drum machine, synth e cablature sparse dalla quale partono tutta una serie di manipolazioni elettroniche da impiantare sopra un tessuto analogico che resta sostanzialmente pop-rock nella sua mappatura genetica.
Forte di una riconoscibile ascendenza crepuscolare in odor di new wave, “Tempo” privilegia alla forza impattante dei suoni una dimensione più marcatamente atmosferica – a tratti garbatamente ruffiana sulle linee vocali – che oscilla tra ovattato stadium rock, umbratile dancefloor e I.D.M. sotto eclissi solare, e dove in appena una manciata di minuti può capitare d’imbattersi tanto negli Underworld dell’opener “Pale sunlight” quanto nella liquidità su sei corde di "achtungbabyana memoria" di “Red” (il brano migliore del lotto), oppure d’incrociare nottetempo le frequenze in stile Moderat di “Midnight” e “More details” o inaspettatamente gli Editors più malinconici di “Blue”.
Se volessimo considerarli una versione più intimista e meno caciarona dei Goose, alla fine, non faremmo neanche loro un torto. Sul fronte della compattezza stilistica, rimane però il grosso rammarico per quella troppa voglia di umoralità sonora (dettata dall’esigenza di sonorizzare grovigli esistenziali) che si trasforma irrimediabilmente in una palpabile disorganicità d’insieme. E alla lunga la fluidità d’ascolto ne risente, nonostante il tocco sapiente di Jolly Mare in fase di mastering.
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La recensione TEMPO di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-08-24 00:00:00
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