L'universo elettrico e rapido dei Lo Straniero è la risposta giusta contro il tedio quotidiano
Lucien Rubempré è il protagonista del capitale romanzo "Illusioni Perdute" di Balzac, uno dei libri del cosiddetto ciclo dei ritratti della vita di provincia. E Lucien, figlio del secolo Decimo Nono potrebbe essere benissimo uno dei ragazzi cantati dai Lo Straniero nel loro omonimo album d'esordio. "Lo Straniero" è un disco che racconta tante piccole storie, ognuna delle quali riesce sì perfettamente a reggersi sulle proprie gambe, ma se lette una dopo l'altra formano un ideale arazzo che racconta quel micro/macro cosmo chiamato provincia. "Rimango qui", virata verso una narrazione al femminile, parla appunto delle illusioni perdute di una ragazza che, in perenne ricerca della propria vera natura, ora fugge lontano, ora balla techno fino all'alba, ora, banalmente, rimane qui per riscoprire se stessa. I ritmi sono rapidi e taglienti, l'elettronica e i synth pervadono tutte le canzoni, con qualche spruzzata di punk (più forse nell'attitudine e nel modo di narrare le vicende che nelle sonorità) che quasi imbevono canzoni come "Nera", pezzo marziale e seducente.
I Lo Straniero in questo esordio per La Tempesta Dischi riescono nella difficile impresa di disporre sul tavolo tutti i propri gusti e influenze musicali e artistici senza però mai pagare troppo il dazio di questa sudditanza verso i modelli. E si parla anche del tempo presente, anzi dei personaggi che affollano l'immaginario d'oggi, come in "Braccia ribelli" . E nella strofa "Forse le mie mani forti sono strappate all'agricoltura/ o forse ho perso il posto giusto" siamo sicuri che molti di noi, specie nel loro intimo, si ritroveranno perfettamente.
La vocazione quasi biologicamente narrativa dei Lo Straniero trova suo pieno compimento nel dittico finale, ovvero in "Sotto le palme di Algeri" e in "Angeli sulla punta di uno spillo". Queste due canzoni rappresentano una sorta di doppia conclusione, in un'ideale ring composition di un viaggio che non sappiamo quanto possa essere reale e concreto e quanto mediato/trovato dalle pagine di un libro. Ecco che la Algeri cantata nella penultima traccia è quella descritta da Camus e da Pontecorvo, un Mediterraneo infinito che si squaderna davanti agli occhi dei giovani che "vogliono conoscere il mondo e il freddo dei piroscafi". Per quanto concerne l'ultimo pezzo, "Angeli sulla punta di uno spillo" qui si attua una sorta di dichiarazione filosofica di cosa sia l'arte e la bellezza per i Lo Straniero: un difficile esercizio di equilibrio tra il baratro e il cielo, un numero da equilibrista del circo, un po' folle un po' malinconico.
Quante volte dovremo ancora cadere per imparare la bellezza, quante illusioni dovremo perdere per trovare la nostra strada, quanti Lucien Rubempré si consumeranno nell'attesa sfibrante di un sogno che s'avvera? I Lo Straniero non ce lo dicono ma nel frattempo sfornano un grande album che rimane con i piedi ben piantati a terra nel mare magnum della discografia contemporanea.
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La recensione Lo Straniero di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-05-26 10:00:00
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