Giacche di pelle, jeans attillati, capelli lunghi e tanta attitudine rock n’ roll. The Rodriguez con il loro "Hong Kong Casino" dimostrano di non essere solo rivolti a un'estetica underground prestata alle case di moda alla stessa stregua di Horrors, Toy, The Raveonettes o i più celebri The Strokes. La band incarna il concetto stesso di rock in tutte le sue accezioni come unico stile di espressione artistica. Profondamente segnati dalle vibranti nottate milanesi passate al famoso club Plastic tra le ispirazioni della Swingin’ London e la Factory di Warhol, trasmettono la medesima dissolutezza bohemien, in narrazioni distaccate di sesso, droga e divertimenti.
Se la radice di questa vocazione rock n’ roll ha come incipit i Rolling Stones o i Beatles, l’elemento cardine dell’album risiede sin dai primi ascolti quasi interamente nella cifra musicale dei Jesus and Mary Chain. Dalla traccia omonima che dà il nome al disco, il gruppo strizza l’occhio allo shoegaze con un inno alla Julian Casablancas sedato dall’acidità e dalla psichedelia. “C” fluttua tra reminiscenze chitarristiche di fraseggi à la “Lullaby” nei registri disperati di Robert Smith. “Killer Plastic” è una sognante ballata in maggiore, figlia questa volta di un Lou Reed trapiantato negli ’80, capostipite di una generazione decadente ed emarginata, che come una via maestra traccia la strada dei testi The Rodriguez. Più dolce è l’entrata sugli accordi sgranati di “Sometimes I Want To Stay With You”, che come una ninna nanna effettata nella voce, si appoggia in modo naturale sulla ballata degli Psychic Tv in “White Nights”, a favore di una semplicità e delicatezza complementare al repertorio.
Nelle due tracce di chiusura, l’album fa ritorno in modo ancora più sfacciato allo shoegaze dei fratelli di Glasgow Jim e William Reid. Difatti passando per le valide composizioni “Vertigopunk” ed “Anything but Love” il gruppo cristallizza il proprio sound in modo definitivo, colmo di melodie trasfigurate in buona parte da un tappeto di effetti e distorsioni abrasive, e accompagnate da riff epici e batterie fragorose. Meno eclettici rispetto alla scena pesarese dei Be Forest e Brothers in Law, The Rodriguez riportano lo shoegaze alle proprie radici grazie a quel tipico impeto punk e garage nelle canzoni proposte, prestando autorevolmente un forte interesse e ambizione per il panorama europeo e internazionale.
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