“Ghetto Stradivari” è la svolta luminosa di Nico Royale. Un disco riuscito a metà: molto più interessante la parte in inglese dei restanti brani in italiano.
La copertina di “Ghetto Stradivari”, che omaggia il celebre album dei The Clash, fa probabilmente riferimento all’amore per il punk di Nico Royale, ma non suggerisce molto sulla vera natura dell’album. Di fatto, l’artista emiliano ha abbandonato le tinte più cupe che caratterizzavano il precedente “Illegale”, aprendosi a una reggaemusic ben più solare e radiofonica. In questo senso “Ghetto Stradivari” appare più vicino alla stile dei Boom Da Bash: la dancehall prevale sui classici ritmi in levare e si cerca di puntare, tanto con la musica quanto con i testi, ad un pubblico decisamente più ampio.
La sensazione, però è che manchi quella stessa freschezza dei colleghi pugliesi, almeno per quanto riguarda la maggior parte dei brani cantati in italiano. A differenza di quelli in inglese, infatti, questi peccano più di una volta di originalità, si adagiano spesso su testi molto semplici e arrangiamenti più commerciali. “Supermarket Love” e “Suonala” rappresentano un po’ l’emblema di questa visione che definirei come il punto più basso del disco.
Discorso a parte, invece, per l’intro che dà il titolo all’album e la manciata di pezzi in lingua straniera distribuiti all’interno della tacklist. Il carattere forte di “Black Again” feat Mark-One, l’immancabile pizzico spagnolo in “Peace”, la possibile hit “Be Free” e “Sing With My Heart”, con un bel riff malinconico di fiati che vale la pena citare, viaggiano su un livello decisamente diverso rispetto agli altri brani, compiendo a dovere il compito del disco: risultare ‘popolari’ senza essere banali.
Il “Ghetto Stradivari/fuori dai binari” posto a inizio del disco, allora, ha valore a metà: è bello lasciarsi coinvolgere in certi punti dall’aria estiva e dall’anima leggera con cui Nico Royale affronta le diverse tematiche dell’album, ma spesso sembra che per la leggerezza sia stata sacrificata l’originalità. L’ago della bilancia e la strada da seguire per il futuro è quella dettata dalle prime due tracce e, più in generale, dai brani non in italiano. Il rischio, altrimenti, è quello corso specialmente nella seconda parte dell’album: canzoni dalle linee molto melodiche, ma che peccano dal punto di vista del songwriting e che, a lungo andare, inevitabilmente stancano.
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La recensione Ghetto Stradivari di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-09-06 00:00:00
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