Recensendo l'album precedente scrivevamo: “Provo a esagerare: ci sono persino Grignani e Vasco Rossi tra le suggestioni. Bestemmie a parte, la maturazione ha portato meno guizzi, meno sorprese”. Cinque anni dopo più che blasfema, quell'affermazione appare lungimirante: infatti è esattamente così che suona il “nuovo” Bugo, come un Vasco Rossi invecchiato bene, o non invecchiato affatto, o come un Grignani capace di gestire meglio le nevrosi. A cui si potrebbe aggiungere il Luca Carboni di “Mare mare”, ma anche – perdonate me per la bestemmia stavolta – il Nek in cassa dritta del penultimo Sanremo.
Come se avesse intenzione di vincere il Festivalbar, come se volesse stare nella colonna sonora di un film dei Vanzina simpatici, come se andasse in giro per l'Italia in sella a un Ciao connesso ai social, come se, anche mentre i cantautori fanno a gara di giochi di parole e citazioni argute, per scrivere una canzone d'amore bastasse scrivere “sei la donna più bella che c'è”, il nostro mette giù dodici pezzi di uno spavaldo e immediato italo-rock che sarebbe stato a suo perfetto agio in un juke box in compagnia dei nomi già citati nonché dei gruppi funkettosi, new-romantic, synth-pop e hard rock cotonato che allietavano i nostri pomeriggi sul muretto.
Cosa che in questi tempi di fiero revivalismo alla Thegiornalisti potrebbe suonare molto cool, ma in realtà l'impressione è che a lui non gliene freghi davvero niente di essere o sembrare alla moda, che tutto quello che gli interessa sia "rifiutare la tua/mia/nostra realtà e sostituirla con la sua", come recita l'iniziale (e strumentale, tranne per questa dichiarazione) "Radio Bugo". E che sia vero o no è quest'impressione il valore aggiunto del disco.
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