Ed eccolo il rinnovato terzetto di Sassuolo giungere finalmente al quarto lavoro, dopo una serie di vicissitudini (variazioni sostanziali nella line-up ed ennesima etichetta a marchiare l’opera) che non poco ne hanno segnato il percorso.
Rimane però invariata - grosso modo - la sostanza: grandi canzoni, ancora una volta, firmate al 90% dalla colonna portante della formazione, il vocalist, nonché bassista, Giancarlo Frigieri, accompagnato oggi da due nuovi ingressi quali sono Paolo Campioli (chitarra) e Luca Verzelloni (batteria). Dicevamo della ‘sostanza’, che alcuni detrattori del gruppo a più riprese sembrano non cogliere; sarà, ma ci pare che Joe Leaman continui ad essere - a 6 anni dell’esordio - una delle poche realtà in grado di confezionare dischi il cui solo merito (e non è poco!) è quello di farsi ascoltare sempre e ben volentieri dalla prima all’ultima nota. Può darsi che il trucco stia nella semplicità compositiva e di scrittura delle canzoni, ma nel genere in cui bazzica il terzetto non credo si possa chiedere molto di più.
Anche stavolta, perciò, minutaggio ridotto (mai superiore ad un’ora) ma più abbondante degli episodi precedenti, per un numero di canzoni che tocca per la prima volta la doppia cifra. Non fermiamoci però alle statistiche e tuffiamoci in un album che emoziona solco dopo solco, sia che si tratti di micidiali pop-song che di dolcissime ballate. Come rimanere indifferenti, ad esempio, quando è il momento di “The way we dance”, epilettica scarica di adrenalina infarcita di energia punk? Eppure ci pensa già l’iniziale “Alice’s daydreamin’” a fugare ogni dubbio, innestando marce alte per ritmi rock’n’roll ai quali l’entità Joe Leaman ci ha da tempo abituati. Tra l’altro l’ombra di Lou Barlow ricompare prepotentemente in “She love to ask”, per poi lasciare spazio a “Sweet”, raffinatissimo mid-tempo che a sua volta apre la strada a “Free karate”, brano caratterizzato da un riff assassino che lo candida fra i migliori singoli dell’anno in ambito indie-rock internazionale.
Subito dopo si cambia ritmo, grazie anche all’apporto della voce di Fiamma, che impreziosisce “Fat people are not always happy as you could think”, ballata vicina a lidi post-rock e il cui ascolto merita molta attenzione. Si riprende a vele spiegate con “One on three (not bad)”, song di notevole impatto ma difficilmente descrivibile essendo poco conforme al tipico registro usato dei Nostri. Meno arduo, invece, è parlare di “Syd”, unica traccia che non porta la firma di mr. Frigieri e che nulla aggiunge all’opera se non un pizzico di velocità. Molto più affascinante, invece, la successiva “Boogienning”, altra ballata arricchita da cori femminili (nello specifico quelli dj Lara) che fanno da perfetto contraltare all’interpretazione vocale del leader.
Capitolo a parte per la conclusiva “Everything makes a big noise fallin’”, cavalcata di oltre un quarto d’ora che ricalca nella sua struttura le divagazioni sonore di Neil Young quando è in compagnia dei Crazy Horse. E in fondo altro non è che l’unico episodio in cui la band scorazza a briglie sciolte, essendo “Truly got fishin’” un gran disco di canzoni che non potete farvi mancare. Ancora una volta…
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