Ci sono voluti 12 anni per permettere la crescita, la maturazione e la sintesi di un progetto che oggi brilla per ricerca, produzione, concept ed esecuzione. Ecco come si fa un gran disco di rap italiano.
La pubblicazione di "Santeria" è uno di quei regaloni attesi sia dai fan che dai meno fan che dal 2004, anno della prima apparizione di Marracash sul mixtape "Pmc vs Club Dogo", passando dalle varie "Briatori" o "Puro Bogotà", chiedevano anche a gran voce una collaborazione più continua tra Marra e Guè (e anche noi lo avevamo, se non chiesto, previsto).
Ci sono voluti 12 anni, un lasso di tempo per molti infinito, in cui nel mentre hanno trovato spazio vertiginose scalate alle classifiche, contratti sostanziosi, una fan base tipo esercito, la dissoluzione del progetto Dogo Gang e anche qualche passaggio a vuoto di quelli che hanno avuto tutti i grandi artisti. 12 anni, lo spazio temporale necessario a permettere la crescita, la maturazione e la sintesi di un progetto che oggi brilla per ricerca, produzione, concept ed esecuzione.
Quello che è chiaro sin dalla prima barra è che "Santeria" non è un lavoro di sperimentazione ma semmai di consolidamento; nessuno obbligava due artisti ormai affermati a produrre un album insieme, a creare un lavoro che con pregi tanti e difetti pochi, non può non rimandare alla mente a quel "Watch the Throne" di Jay Z e Kanye, mamma santissima del rap contemporaneo.
Ecco perché non stupisce trovare "Santeria" lontano da logiche prettamente mainstream o di classifica con uno, due brani al massimo da top chart e il resto pronto per essere imparato, memorizzato, se vogliamo anche ostentato, come dimostrazione pratica di come si può fare un buon rap in Italia, pur sotto l'egida di una major, e senza andare a scomodare il rap underground dei campetti e delle cassettine. Ha ragione Bassi Maestro a credere nel rap italiano ora come nel '96, continuando a ricordare con una trasmissione relegata al web (ma che andrebbe maggiormente sostenuta e supportata) quanto i vecchi (e ormai Guè e Marra tali vanno considerati) possano dare moltissimo al genere, alle parole e al suono.
Proprio dal suono partiamo: fresco, internazionale e di ampio respiro, la trap è ridotta se non al minimo, almeno al giusto, dando spazio a beat anche old school dalla forma picaresca, capaci di riappacificare anche le menti classiche, con una "Money" che sembra uscita direttamente dalla director's cut di "Mi Fist". Gli altri beat, tutti, sono impostati per amalgamare i flow dei due che sembrano esaltarsi sempre di più pezzo dopo pezzo. Delle quindici tracce "Cosa mia" (a proposito, grazie per lo splendido sfanculo a Rockit) è forse la più bella, a dimostrazione di quanto Mace, autore del beat, sia ormai il re Mida dei producer italiani.
Sul fronte delle rime stesso discorso: lucenti, taglienti, critiche e sociali tanto almeno quanto i testi di Niccolò Contessa, un paragone che ai più risulterà pazzesco, ma che regge nella distinzione dei generi ben diversi che i tre artisti fanno.
Di base il più dei pezzi è una forma critica, anche autocritica e sovente ironica del mondo in cui Marra e Guè comunque sguazzano: da Instagram a Facebook, dalle donne alla figa, dai soldi al salario, agli hater sistemati nei due versi "ogni cosa l'ho sudata ogni spazio / ho sudato anche il diritto di starti sul cazzo". Senza dimenticare le smargiassate ad alta voce, vero marchio di fabbrica dei due, che raggiungono l'apoteosi in "Cantante italiana": traccia maschilista e se vogliamo anche misogina, ma da prendere per quello che è, ovvero rap. Un concetto spesso dimenticato come dimostra apertamente l'affaire Fibra-Scanu.
Al netto dell'abuso di vocoder, Marra e Guè confezionano un lavoro piacevolissimo, intelligente prima che bello, divertente e fluido, un gran disco di rap italiano, superiore a molti degli album usciti negli ultimi anni per cui è lecito fare poche ultime piccole considerazioni: alla summa finale di "Santeria" e mettendo sulla bilancia questo lavoro e l'ultimo di Jake La Furia, è lecito chiedersi se non vada considerata chiusa l'esperienza Club Dogo. E per quanto riguarda Marra, ritrovato lo spirito giusto, in un percorso già cominciato con "Status", viene da augurarsi un diluvio di strofe per un futuro album che deve mantenere il livello ormai delineato in questo lavoro.
Ai fan, agli scettici, alle vecchie scuole, va invece il consiglio di ascoltare a mente libera, e con la stessa libertà giudicare "Santeria", ma con cognizione di causa e dopo un ascolto attento: per noi è promosso.
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La recensione Santeria di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-07-04 00:00:00
COMMENTI (1)
E se lo paragonassimo a Blackout! dei Blunt Bros?