TACDMY Drunk Yoga Velvet Club 2016 - Pop, Elettronica

Disco della settimana Drunk Yoga Velvet Club precedente precedente

Musica pop percossa e scavalcata da schemi non convenzionali di elettronica e dance.

Così come la luminosità di una stella è dovuta al decadimento radioattivo di atomi pesanti come il ferro e il nichel, nati dall'unione di elementi più leggeri, così non può esistere canzone che spicchi sulle altre senza che coesistano almeno due o tre elementi semplici, distinguibili e convenzionali tutti insieme. A partire da questo, la qualità della lucentezza della stella, o nel nostro caso, della musica, non può prescindere da una fusione di influenze e ritmiche diverse.

Il secondo album dei The Academy, forse meglio identificabili come TACDMY, è la colonna sonora ballabile che accompagna allo stesso momento la dinamica energica della crescita di una stella e la quiete cosmica dello spazio circostante ad essa. Si tratta, ad esempio, di collegare il drunk e lo yoga scelti nel titolo. Il primo aggettivo, congiunto all'incedere dell'esplosione interstellare, nonché al disorientamento alcolico, si rifà a generi come il big beat, l'EDM e l'alternative dance proposti nelle canzoni. Il silenzio e la profondità legate alla disciplina dello yoga sono in sintonia con il trip hop, l'ambient e l'IDM che si contrappongono e alternano anche più e più volte all'interno di un'unica traccia. Ecco quali sono gli elementi semplici che formano il velvet, cioè quel tessuto ideale scelto per ricoprire e racchiudere la musica proposta dai The Academy in queste otto canzoni.

Adocchiando la copertina figlia di "Innerspeaker" dei Tame Impala (difficilmente casuale), l'apprezzatissima traccia di apertura "Blavatasky" è una di quelle canzoni che ha il calibro per essere inserita in circa cinque dei nove album prodotti dei Chemical Brothers sino ad oggi. Con la seconda, "Ego Chamber", si approva al già detto big beat, con un tocco ritmico quantomeno esotico.
Rimane poi impressa nella mente la terza traccia, "Kneyef", dove la parte iniziale da easy listening viene stravolta da un intermezzo centrale quasi techno. La conclusione del pezzo è invece una virata indietronica introdotta da un passaggio di trenta secondi di suoni ambient sempre con sfondo natura. Stessi suoni, capeggiati dal verso di un pellicano, sono identificabili anche nel finale di "Pray the Lord". Ciò che risalta è l'assenza di ritornelli come siamo soliti concepirli: la consueta struttura di canzone viene totalmente travolta dagli esperimenti elettronici.
E l'evoluzione dell'ormai vecchia stella? Alla fine si dissolve interamente nella traccia finale "Wow Signal" che, tra gli effetti allungati e psichedelici del synth, non rappresenta nient'altro che il segnale, o meglio, la radiazione cosmica di fondo dell'universo ricreato all'interno del Drunk Yoga Velvet Club.

 

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La recensione Drunk Yoga Velvet Club di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-07-18 00:00:00

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