Siamo davanti a uno di quei casi in cui un passaggio da un talent si è rivelato dannoso per l'artista
Premessa fondamentale: l'idea (malsana) di avvicinarmi al disco dei La Rua mi balza in testa un sabato sera nel momento in cui, facendo zapping, scorgo la band marchigiana impegnata in una cover degli Who in una serata di Amici di Maria de Filippi, che lascia il segno nei miei ricordi. Quasi incredulo, infatti, non solo per il brano su cui è caduta la scelta ("Love, reign o’er me", tratta da "Quadrophenia"), ma per l'interpretazione in parte paracula (con un tiro decisamente più rock rispetto all'originale) e in parte coraggiosa, avendo la band innestato alcuni elementi tipici della loro cifra stilistica - cifra che, a loro volta, hanno costruito rifacendosi agli archetipi sonori targati Arcade Fire.
Insomma, mi sono lasciato impressionare dall'esibizione, senza dubbio, però è pur vero che il tutto è stato concentrato (intelligentemente, aggiungo io) in poco più di 2'. Nasce da qui la curiosità di sentire il sestetto alla prova del materiale inedito dopo l'esperienza televisiva, non essendo dei semplici esordienti sulle scene, visto e considerato che la loro opera prima risale ad appena 2 anni fa. Le aspettative ovviamente erano alte rispetto alla media delle band, valutando il fatto che le risorse a disposizione dopo la partecipazione ad uno show sono altrettanto superiori alla media.
E invece nulla di tutto ciò: il passaggio ad un talent si conferma, ancora una volta, la cosa peggiore che possa capitare oggi ad un artista. Perché il disco che segue immediatamente all'evento rispecchia il solito copione: arrangiamenti e produzione appiattite sul solito cliché del pop mainstream "made in Italy". Al punto tale che le uniche tracce che spiccano sono quelle ripescate dall'esordio ("Non sono positivo alla normalità", "Non ho la tristezza"). Tutto il resto sembra costruito alla ricerca per orbitare, a livello sonoro e di liriche, intorno al pianeta Mengoni; capita infatti raramente che sfuggano al cliché ("Mai come mi vuoi tu"), ma tutt'al più il risultato ci pare riconducibile ai livelli del primo album. Che, sia chiaro, non è da considerarsi pietra miliare, bensì un lavoro che tracciava una linea da seguire.
È andata in maniera decisamente diversa, ma se i La Rua ne hanno piena consapevolezza, buon per loro.
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La recensione Sotto effetto di felicità di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-07-29 00:00:00
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