Un disco di sole voci, gelido e straziante. Per chi fugge l’easy-listening e non disdegna una piccole dose d’angoscia.
Bruno Clocchiatti-Oakey in veste Those Lone Vamps ci aveva lasciato nel 2014 con “How To Become Invisible”, forse il suo lavoro più cupo in assoluto. Con la recente release di “Regions in Peril”, l’artista ha però sfidato il concetto di minimal folk a cui ci aveva già abituato in precedenza, riducendo il tutto a un piano quanto più essenziale possibile: solo voce e vocal loops pedal. La cover bianca del nuovo album, se da una parte sembra far riferimento al titolo del disco precedente, funge anche da scenografia per il dieci-tracce: un paesaggio freddo e innevato, a metà strada tra la regione canadese dello Yukon – protagonista di una buona metà dei brani - l’Alaska, la Groenlandia e le Alpi Friulane.
Come un Tom Waits disperso trai ghiacci, Those Lone Vamps si lascia andare a canti strazianti e angoscianti. È il caso di “Deer Lake”, un lamento che nasce direttamente dalle profondità della terra e che gioca, o meglio combatte, con l’eco; della più mistica “Yukon – Hampa”, che sibila gelida come un vento del nord, o della tenebrosa “Yukon – Slomo”, l’alter ego di un canto gregoriano, in cui al posto di una cattedrale c’è un intero ghiacciaio. La sensazione è che, prendendo in prestito la voce dall’autore dell’album, siano le stesse ‘regioni in pericolo’ citate dal titolo a rivolgersi direttamente all’ascoltatore. Se state cercando un album da ascoltare con leggerezza siete decisamente fuori strada: “Regions in Peril” è per chi fugge gli ascolti facili e non disdegna una piccola dose d’angoscia.
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La recensione "Regions In Peril" di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-02-13 00:00:00
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