Unalei: linguaggio barocco e suoni potenti per un album confuso
L'horror vacui è quella particolare caratteristica di certe opere artistiche barocche presentanti una serie massiccia di dettagli, realizzati nei minimi particolari su, praticamente, l'intera superficie dell'opera stessa. Se, nei migliori dei casi, questo procedimento dona all'arte una forza e una carica difficilmente replicabile, altre volte, molte altre volte, questa tecnica appesantisce enormemente il quadro o l'affresco, rendendolo stucchevole e schiavo di un citazionismo fine a se stesso da cui non si ha possibilità di fuga.
È un po' la sensazione che si ha nell'ascolto, anche molto approfondito, di "Taedium Vitae", l'album degli Unalei. Infatti le otto canzoni che compongono il disco, presentano tutte un filo comune: ovvero suoni molto potenti e decisi e testi che vanno a coprire ogni spiraglio possibile del pezzo, manifestando un'ansia, giustappunto del vuoto, che non abbandona mai l'ascoltatore. Anche nelle canzoni più godibili partorite da Federico Sanna e, per così dire, immediate, come "La bellezza inedita", la settima traccia, si assiste ad una sorta di ingombrante parata di citazionismi, termini astrusi e testi che narrano racconti immaginifici e tanto, troppo, onirici.
Ecco quindi che in questo "Taedium Vitae" il rischio vero è quello che lo splendido horror vacui della tradizione barocca si trasformi nella più banale e molto meno artistica cenofobia, ovvero la patologia psicologica del terrore degli spazi aperti (simile per certi aspetti all'agorafobia ma meno intensa e più, per così dire, a livello epidermico). La soluzione migliore sarebbe sfrondare con decisione i riferimenti, snellire l'impianto sia stilistico sia testuale e, una volta per tutte, riordinare le cose, lasciando che il vuoto invada dolcemente gli spazi interstiziali tra la musica, le parole e i sentimenti degli ascoltatori.
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La recensione Taedium Vitae di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-10-07 00:00:00
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