Post rock di gran livello o fottutissima lagna in salsa new age? Chiariamolo subito: “Shore” non è un disco in grado di dividere con tanto di sentenze inappellabili. Non è bianco o nero, bene o male, capolavoro o episodio da dimenticare. Gli Hormiga hanno semplicemente tirato fuori un cd dotato di ottime idee, ottimizzato da un post-rock improntato su di un minimalismo di ottima fattura, all’interno del quale il suono prende una strada da percorrere senza l’assillo della velocità, scevro da urgenze e da quella “immediatezza” che sembra essere lo spauracchio di ogni buon rocker.
“Shore” è una spiaggia liscia e sabbiosa, dove la band varesina ha scelto di fermarsi allo scopo di sviluppare un credo fatto di uno sperimentalismo non fine a sé stesso, e comunque divergente dalla classica forma canzone. Come avrebbe fatto Brian Eno e forse anche il David Sylvian più estremista, lontano dai fasti dei Japan.
Tutto molto bello, con poco spazio al canto. Ma è proprio quando interviene la voce di Paco De Vito che il cd prende quota, come nelle struggenti “The girls leave the circus” e “Ten soft days”, entrambe lontanissime da qualsiasi sospetto new age e più vicine ad un post-rock polveroso di stampo nord-americano. Le perplessità invece derivano da qualche rumorismo sospetto, in grado di rievocare la già menzionata (ed odiosa) musica new age. Si prenda quella specie di richiamo tibetano in “Pipeline” (ma Jean Luc Ponty sarebbe orgoglioso del suono di quel violino), o gli eccessi di “In Partegora”, con l’effetto acqua che fa tanto “musica del nuovo tempo”. Per fortuna, si tratta di pochi episodi, non decisivi e nemmeno troppo compromettenti. Va bene così, anche se...
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La recensione Shore di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-11-24 00:00:00
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