Dalla Sardegna ti prendono il punk e te lo ficcano in testa per fartelo disperatamente canticchiare: nel primo disco dei Quercia ne succedono parecchie di cose.
I Quercia sono una band sarda, di Iglesias, giù al sud ovest dell’isola. La loro città probabilmente è una di quelle città in cui si dice, si mormora, si crede che non succeda mai niente, anche se in verità ci sono una marea di storie da raccontare, di grandi o insignificanti cose successe. Nel primo disco dei Quercia in più o meno mezz’ora ne succedono parecchie di cose.
Innanzitutto giornate che vanno come non dovevano andare e appuntamenti impossibili, almeno a prima vista, buttati giù con una cascata di parole che suonano e si richiamano con attitudine punk (nella sua componente emotional) e chitarroni. Subito in seguito a "Nubi", questo attacco (che sa anche di rap, visto che Luca Fois, cantante, ha in ballo un po’ di progetti legati all’hip hop) va via via fondendosi con un’altra vena bella in vista in questo disco, quella più acustica, melodica, cantabile, genuinamente pop e italiana. Il disco si sorregge proprio sul continuo gioco di tesi, antitesi e sintesi tra i momenti più taglienti e quelli più ammiccanti e direi che questa è una delle cose che più si possono apprezzare nei Quercia.
È su questo tipo di tentativi che spesso si muove la musica in italiano, che tende a digerire negli anni i generi più propriamente stranieri e contaminarli via via con una precisa melodia, una cantabilità appunto, quell’elemento pop che spesso restituisce al punk la forma canzone, nel senso proprio di musica leggera. Non vergognarsi di questo “condimento italiano” ci permette di apprezzare la vivacità che le nostre band hanno saputo e sanno dare alla musica anche più apparentemente lontana dalle radio. Pensiamo a quanto valgono, rispetto a una mera traduzione alla lettera del post-punk, dell’emocore e via dicendo, quelle realtà in cui tutto ciò si sposa organicamente con la nostra lingua e con le nostre care canzonette, insomma chi riesce a portare Tiziano Ferro in un garage con dei distorsori e sbrattarsene di tutto, senza perdere la spinta.
I Quercia piazzano "Non è vero che non ho più l’età" a un buon punto di questo discorso, anche se la componente ammiccante non sempre regge la stessa tensione delle urla, cioè: a tratti sono forse fin troppo consapevoli dell’operazione che rappresentano e marcano il pop fino a lasciar cadere un pizzico di genuinità, che si perde nel reiterato acustico-postqualcosa-acustico, ma spero di vederli dal vivo per ritrovare appieno quel pizzico.
Il punto in cui invece la retorica si amalgama in modo più naturale sono i testi e le atmosfere cantate. C’è chi apprezza e chi meno quell’aria liceale a tutti i costi, ma è da notare soprattutto che – anche grazie alla brevità dei brani – in tutto il disco si mantiene densa senza annoiare, con momenti un pochino appassiti (gli ultimi versi di "Lynch" sono molto belli, ma per arrivarci bisogna farsi spazio in un accumulo di immagini comuni che ammazza un po’ il climax) e pezzi molto ben costruiti ("Posto di blocco" è una canzone che racconta una storia con prospettiva lirica dosata a puntino, sia dialogo fittizio che monologo, sia introspezione che narrazione di oggetti concreti).
Questi testi strillati e canticchiati si pongono come collante di tutto il dialogo tra sonorità diverse e diversamente consolidate che sta sotto, dando al disco persino una radice cantautorale. La friabilità giovane e “giovanilista” di questa radice potrebbe sembrare la principale debolezza del disco, ma di fatto rende il tutto flessibile, consegnandoci quella sensazione di diverse piccole cose che succedono, che nonostante tutto succedono. Brevi momenti strumentali, canzoni da falò, emo strillato di tradizione Gazebo Penguins, un non so che di rap, frasine da scrivere sul banco, qualcuno a cui pensare, qualcuno a cui non si vorrebbe pensare, andarsene e stare male senza sapere perché, diventare grandi senza consenso e ancora giornate che vanno come non dovevano andare mai, anche se, in tutto questo, si insinua l’intuizione che vada bene così, che le cose alla fine hanno ragione di esistere e di non farsi capire, e allora è più facile lasciare accomodare qualcuno nei nostri giorni disordinati.
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La recensione Non è vero che non ho più l'età di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-10-14 00:00:00
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