An HarborMay2016 - Rock, Pop, Indie

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Primo disco folgorante per una delle tante meteore di X-Factor che alla fine, del talent non aveva affatto bisogno.

La voce forte, presentissima sempre, incisiva come quelle battute bastarde che si fanno per celare le amare verità: An Harbor, al secolo Federico Pagani, esordisce con un disco di grande impatto melodico e gusto musicale.
Senza cedere alle sfumature di cliché e ai gorgheggi da pop onanistico, "May" corre su una strada dritta, sprigiona rock, folk ed elettronica mixate a dovere per attraversare il supporto d'ascolto e colpire le corde della memoria musicale di tutti. Le 8 tracce in scaletta infatti, sono orecchiabili da far schifo, si canticchiano già dal secondo ascolto e viene pure voglia di mettersi alla chitarra anche se nemmeno si sa ancora se si è destri o mancini.

Intenso e semplice nella vocalità, An Harbor canta ciò che scrive in maniera da far sembrare enorme ogni nota e parola, un tibro a metà tra Gavin Degrow e Adam Levine, uno stile per ceri aspetti vicini a Chet Faker (anche se la barba va e viene) con un pizzico in meno di soul e più potenza, alla Dave Matthews, tutta gente che comunqe canta eccome. Prendete un brano come "Meet yourself fading", con i delay sulle chitarre elettriche, la batteria dritta che si infrange nei piatti, la dinamica delle linee melodiche che crea quella tensione unica, le distorsioni che crescono e poi si riposano, tutto al punto giusto, tutto pensato, eseguito e prodotto come Dio comanda. Che bello. E così anche "Minerva youth party", "The highest climb" e quella "By the smokestack" dal ritonello ossessivo, tutte con quel suono grosso anche in una sola corda di chitarra.

La dimensione di An Harbor, quella originaria e probabilmente la più autentica sia a livello compositivo che performativo, rimane però quella voce e chitarra, lo si percepisce in "Come armed or come not at all" e "Not made of gold", due brani profondi e struggenti.

In "May" (il mese in cui tutto fiorisce, le piante come le idee e i rapporti) è la musica a ricevere vita nuova, e alla fine il disco parla la lingua personalissima del power pop di matrice americana di An Harbor ma è facile sentirlo come proprio, in qualità di ascoltatori. È una cifra stilistica nuova in Italia, con un appeal internazionale che ha dalla sua anche un'ottima produzione. Non tutto l'X-Factor vien per nuocere.

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La recensione May di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-09-27 10:00:00

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