Incanalare la rabbia repressa in qualcosa di costruttivo. Una band in grado di spaziare senza troppi problemi dai momenti più polemici e potenti dei Ministri fino alla versione più politica dei Negrita di Helldorado
Una precisazione doverosa, adoro la gente pazza, certo - spero non sia il caso di doverlo puntualizzare- il fenotipo dei pazzi che apprezzo di più è quello alla Cantona o alla Van Gogh, sicuramente non sto parlando di Raffaele Sollecito.
Detto ciò, forse non ho capito del tutto il titolo di quest’album, quantomeno, non so quale tra le sue possibili interpretazioni risulti la più vera, si tratta di un’accusa tout court rivolta verso l’esterno o più semplicemente di un mea culpa interno alla band? Probabilmente entrambe le ipotesi sono valide, la terza legge di Newton (ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria) applicata al di fuori della fisica genera spesso corto circuiti emozionali, niente di più scontato che additando di follia qualcuno la stessa accusa ci si ritorca contro.
Va be’, oltrepassiamo l’antropologica coltre. Insomma, probabilmente "Siamo tutti pazzi" non è nient’altro che un espediente anche se io continuerò a ritenerlo qualcosa di più profondo. Una dichiarazione d’intenti forse, un vero e proprio manifesto artistico: ai pazzi è permesso di tutto, hanno piena libertà di giudizio e di conseguenza piena libertà d’espressione. Su questi binari si è sempre costruito l’ormai abusato parallelismo tra genio e follia, in questo caso di geniale c’è ben poco, ma l’accusa auto-rifilatosi garantisce alla band il permesso di spaziare senza troppi problemi dai momenti più polemici e potenti dei Ministri fino a canzoni in cui sembrerebbero rimandare direttamente alla versione più politica dei Negrita. Ribadisco , nulla di geniale, senza per questo generare nessun impedimento ad un prodotto che comunque si discosta dalla media per ricchezza di contenuto.
L’erba sotto l’asfalto debuttano con un ep sotto la Diavoletta Netlabel (etichetta che, ho scoperto solo recentemente, si dimostra una vera e propria garanzia in fatto di band emergenti) per poi passare alla Fuffa recordz e pubblicare quest’album in cui è interessante notare come un accozzaglia di riferimenti e un intento assolutamente critico non si risolvano in uno stile del tutto impersonale o in sofisticati quanto inutili manierismi. Sono una band diretta ma non per questo meno ricercata, se nei momenti di rabbia più acuti potremmo perfino accostarli ai Linea 77 il gruppo con cui ad impatto sonoro condividono più aspetti sono, a mio avviso, i Fratelli Calafuria.
"Torni a bordo signor capitano" è una canzone che credo senza troppi giri di parole si riferisca alle vicende dell’Isola del Giglio. La formazione campana prende in prestito, volontariamente o meno, un’idea di Car Seat Headrest che in "The Ballad of the Costa Concordia" giunge ad una simile conclusione utilizzando lo stesso sfortunato evento come tramite per parlare di un’altra ben più universale deriva. La composizione più direttamente politica è invece "Acciaio", dedicata all’Ilva di Taranto, tragedia moderna raffigurata come una mostruosa chimera che divora i suoi figli, una rappresentazione a tinte scure e toni forti in cui non ho faticato ad intravedere una riproposizione quasi letteralmente musicale di un famoso ciclo di dipinti di Goya. "Il sonno della ragione genera mostri", per l’appunto, ma la pazzia è da considerarsi frutto del sonno di questa facoltà o di un suo eccessivo esercizio? Adeguarsi alle usanze e alle mode correnti senza porsi domande, “Camminare sulle strisce per non perdere la rotta, io non vedo, io non sento, leggo bene le istruzioni”, delegare altrove il proprio spirito critico. Spegnere il cervello spesso risulta più comodo.
La forza metaforica dell’asfalto che come colate di lava artificiale distrugge la Pompei della civiltà occidentale, l’irreversibile scempio imbastito dall’uomo sordo alla sua facoltà più prerogativa. Curare un figlio iperattivo con gli psicofarmaci non equivale a risolvere il problema ma a nascondere la polvere sotto il tappeto, l’erba, nelle città, continuerà a crescere tra i marciapiedi, i fiumi continueranno a straripare, i parcheggi a mancare, i contadini estirperanno i soffioni ritenendoli erbacce ma questo non impedirà ai bambini di continuare ad esprimere i loro desideri.
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La recensione SIAMO TUTTI PAZZI di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-11-10 00:00:00
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