La musica degli Shout è monotonìa contro la noia. E anche questo significa saper usare efficacemente l’(auto)ironia come originale strumento di espressione, possibile risposta ai vuoti forzatamente silenziosi dell’incomunicabilità quotidiana. Trasformare ogni cosa nel suo esatto contrario: tale sembra essere la missione di questo quartetto che pratica così bene l’arte del riciclo. Si parte dal funky per arrivare a toccare la psichedelìa dei Velvet Underground passando per la rumorosa acidità dei Nirvana e la genialità oltranzista di John Frusciante. Traettoria tutt’altro che lineare? Forse. Loro, intanto, mangiano fragole e veleno e cioccolata, ridono di tutto e tirano dritto. Testi diretti, essenziali, parole comuni, ma mai banalmente accostate. L’ossessione di ritmi che si ripetono e sfumano verso finali inattesi, seppur non nuovi. Ti attrae, in particolare, il fascino di “Zero”, vortice sonoro interminabile che si muove a velocità costante, come flusso continuo sommerge schemi predefiniti, poi si arresta all’improvviso e tu ti ritrovi spiazzato ed esausto. Se la ricerca continuerà a girare in questa direzione, mi sa che darà i suoi frutti anomali.
Divertente e strambo, questo lavoro è demenziale e gelido quanto basta per aspirare a diventare il sottofondo del vostro cartone animato splatter preferito. La colonna sonora perfetta per le vostre code di fine ferragosto. Molto pulp, sangue o ketchup che sia.
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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-12-06 00:00:00
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