Orange8 Let the Forest Sing 2016 - Psichedelia, Folk

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Tra folk e progressive: l'allucinazione di un viaggio sonoro per le strade del mondo

Quando un album è determinato dall’incontro sonoro di partecipanti che, spontaneamente, decidono di condividere un progetto musicale comune per le strade del mondo, subito ci si incuriosisce su ciò che potrebbe contenere, perché l’equilibrio nella diversità non è mai di semplice attuazione. Per cominciare, prendete un ventaglio di influenze diverse che spaziano dalla psichedelia al folk, dal cantautorato all’elettronica e miscelatele insieme. Farete i conti con un inclassificabile prodotto sonoro, ma dalla precisa identità artistica. Uno stile eclettico, al tempo stesso reale e inafferrabile, vi si svelerà all’ascolto come un viaggio esotico, tra paesaggi umidi di filosofie neoprimitiviste e sufi. Il tutto in lingua inglese, a rendere gli Orange8 un gruppo che di italiano ha ben poco, in virtù del suo cosmopolitismo.

“Arancio” è l’unica traccia cantata in italiano. Il lirismo della composizione è intimo ma dall’ampio spazio sonoro e rivela un buon livello di interpretazione, allungando le note in sfumature d’arancio. È una foto ingiallita dal tempo in cui si sente la vita increspata dalle onde del mare; la natura è una divinità mitologica, presenza incontaminata, creatura selvaggia che si muove su prati sonori delicati e soffici (“Maasika”). Non ci resta che ascoltarne il canto prima di intraprendere una strada notturna infestata dai fantasmi (“Ghost road”) e da una serie di visioni geometriche inquietanti. Le stesse che, in una stanza giapponese (“Japanese room”), osservi disteso sul letto con gli occhi annebbiati da uno strano sogno. Il legame tra folk e psichedelia è impulsività, sperimentazione: può essere un’immagine, uno stato della mente, un suono, un momento di ispirazione. Come quando il rumore della pioggia ti avvolge al buio, restituendo ritmo alla vita nel suo incalzante picchiettare (“Rainy night”). Melodie ora cervellotiche, ora tenebrose, si affacciano in “Le chateau de mon ivresse” come se fossero gli Air a suggerire un andamento rilassato agli umori, che deragliano più energicamente in “My baby is gone”. Alla fine, una foresta inghiotte l’ascolto dentro suoni aerei, sinuosi e bucolici nei quali la musica entra in pace con la natura e le sue creature. Tuttavia per un tempo troppo lungo in cui si finisce per rimanere ipnotizzati.

Sunto dell’opera: varietà nell’unità di una sperimentazione musicale in cui compagni di strada scelgono di incamminarsi verso piste poco convenzionali. Suggerimento: spazio all’ascolto. Di sicuro non si avrà la sensazione di aver perso tempo.

 

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La recensione Let the Forest Sing di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-06-26 00:00:00

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