The DusT Golden Horizons 2004 - Rock, Psichedelia, Easy-listening

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Quattordici tracce, non tutte ugualmente riuscite, caratterizzano un album ben suonato, prodotto in autarchia e con un mixaggio non certo eccezionale, il che, a orecchie poco attente, rischia di far passare in secondo piano l’ottimo lavoro che i trevigiani The DusT hanno svolto per quanto riguarda orchestrazione e arrangiamenti, aspetti nei quali viene dimostrata notevole cura, con molte scelte azzeccate nelle sonorità (l’uso del trombone in alcuni brani, un bel pianoforte su altri e, soprattutto, il maturo utilizzo di cori maschili e femminili davvero ben realizzati). La proposta è un rock britannico anni Settanta, che spazia tra le varie tendenze del periodo, quasi a voler fornire una sorta di dizionario ragionato che illustri una particolare situazione ‘geo-musicale’ di trenta anni fa. Se il gruppo sembra trovarsi molto a suo agio specie con le composizioni più articolate e ariose, in stile primi Queen (“Rocketman”, “My Love”, “With the world in our hands”), tanto da poter apparire in certi casi quasi dei The Darkness più seriosi (o meno ironici, fate voi), raggiunge però i risultati più convincenti quando si lascia andare ad alcuni momenti di psichedelia à la Pink Floyd (“Together”) o a derive acide in stile Led Zeppelin più visionari (la seconda parte di “Waiting for”).

Non mancano alcune pecche: concentrarsi solamente su un numero inferiore di brani avrebbe potuto innalzare il livello dell’insieme, così come avrebbe potuto giovare qualche limatura su certe asprezze della voce principale, che, magari solo su alcuni brani, forse sarebbe risultata migliore se un po’ “addolcita”. Ma questi sono aspetti che si possono aggiustare.

La particolarità e il limite di questo “Golden Horizons” sta proprio nella sostanziale ‘correttezza filologica’ del prodotto: dimostrando di aver imparato bene la lezione dei loro maestri già citati (cui è possibile aggiungere gruppi ‘minori’ del periodo in questione quali Steppenwolf o Ten Years After), The DusT realizzano un album in certi episodi apprezzabile, ma privo di quel guizzo emozionale, di quel coinvolgimento ‘esistenziale’ che segna altre realtà musicali e le fa spiccare. Sono scelte, dettate dal proprio modo di percepire la musica: sia chiaro che l’onestà della proposta non è assolutamente in discussione.

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La recensione Golden Horizons di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-12-15 00:00:00

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