I cantautori non venderanno più, ma per fortuna riescono ancora a farci sognare, almeno loro.
Autocitazionismo, tributo ai cantautori che hanno fatto la storia musicale di questo Paese e un forte ritorno ai suoi cari stilemi, al dialogo a due. È questo che si trova in "Canzoni per metà", il nuovo disco di Dente. A due anni da "Almanacco del giorno prima", Giuseppe Peveri ritorna alle origini, ad "Anice in bocca", complice il fatto di averlo riportato in giro in un apprezzato mini tour lo scorso anno. Via le major, si torna a pubblicare con sua etichetta, Pastiglie; via la band storica, bentornata autarchia (Dente ha registrato tutti gli strumenti del disco, con l’aiuto di Andrea Appino); via quella sensazione da bilancio e spazio alle storie piccole, come le canzoni che poi ne vengono fuori: 20 tracce brevi, molte delle quali sotto i due minuti.
"Canzoni per metà" sembra quasi uno di quei campionari che portano in giro gli imbianchini quando ti devono far scegliere il colore delle pareti della sala da pranzo. Una sorta di portfolio della cifra artistica di Dente. Delle sue ossessioni: il gioco che dice in due parole quello che altri dicono in una strofa intera, gli anni '70 ("Geometria sentimentale", "Cosa devo fare"), la canzone chitarra-voce ("Canzoncina", "Curriculum"), l’amore che non va ("La rotaia e la campagna", "I fatti tuoi"), la canzone veloce ("Attacco e fuga", "Appena ti vedo", quasi in stile Lo Stato Sociale), la ballata struggente ("Come eravamo noi", "Se non lo sai", "Senza stringerti").
Non si può non nominare "Favole per bambini molto stanchi", il libro di micro storie (haiku?) che il cantautore ha pubblicato nel 2015 per Bompiani. Un volume che ricorda Gianni Rodari per le immagini acquerellate e divertenti, ma dove non manca il twist sempre un po’ melò, tipico di Dente.
"Canzoni per metà" potrebbe esserne la trasposizione musicale, la voglia di ricordare che non servono troppe parole per dire quello che si vuole dire, se si ha la fortuna di possedere la lingua come Dente dimostra di avere nei casi più luminosi.
Come un certo Francesco De Gregori, anche lui fortemente legato a una particolare forma-canzone che potrebbe sembrare quasi una filastrocca per brevità e uno spiazzante non-sense.
In "Canzoni per metà", ogni tanto Dente riesce a fare quello per cui da queste parti lo si apprezza sempre, nonostante tutto: quello che in altri vedremmo come un difetto, come un prendersi troppo sul serio, nelle sue produzioni diventa una virtù.
Una certa leziosità, un certo cliché - personale e di genere -, certi calembour, gli riescono in maniera leggera e per questo preziosa. Qualcosa che lì per lì può sembrare poco, ma che in realtà è una dote rara. Per dire che un altro così era Lucio Dalla (molto presente nell’autocitazionista "L’Amore non è bello").
Forse di "Canzoni per metà", se lo si passa al setaccio, potrebbero rimanere poche gemme (una sorte simile al disco omonimo di Francesco De Gregori uscito nel 1974), cosa che in altri lavori di Dente invece non accade. Ma dei pezzi come "Se non lo sai", "Come eravamo noi" e soprattutto la bellissima (e sanremese) "Senza Stringerti", sono di una bellezza disarmante e ricordano il migliore Peveri conosciuto nel periodo de "L’Amore non è bello", cui è necessario aggiungere i due 45 giri "Beato me" e la straordinaria "Sogno", che meriterebbe di essere ricordata molto più spesso.
In questi casi Dente riesce ancora a illuminare in maniera abbagliante queste nostre grigie e asfittiche giornate d’autunno. I cantautori non venderanno più, ma per fortuna riescono ancora a farci sognare, almeno loro.
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La recensione Canzoni per metà di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-10-25 10:00:00
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