“Concerie” del salernitano d’origine ma romano d’adozione Ennio Rega, premio Tenco nel 1993 e premio Carosone nel 2004, arriva accompagnato da una carrettata di recensioni importanti (a sinistra, Repubblica, Liberazione, Il Manifesto, L’Unità, Avvenimenti; a destra, Il Mattino, L’Arena, Max, Telepiù; su riviste musicali: Il mucchio selvaggio, Raro, Musica e dischi, L’isola che non c’era, Allmusic, ecc.) e più che favorevoli. Il perché è subito chiaro: si tratta di un disco ottimamente prodotto e suonato, in cui la vocazione alla canzone d’autore si dispiega in sicure capacità di scrittura. Anche le collaborazioni importanti (gli attori Flavio Bucci, Massimo Venturiello, Giulio Brogi) e la produzione di Roberto Colombo contribuiscono all’artisticità con cui si presenta il disco.
Ma, ma, c’è un ma. Anzi due. Ed entrambi portano a riflettere sullo stato dell’arte della canzone d’autore italiana, di cui, proprio per i suoi pregi, questo disco rivela secche e limiti.
Primo: i testi. Sia quando Rega si butta sul filone nostalgico alla Paolo Conte sia quando affronta tematiche di attualità lo fa con quella poeticità retorica che ammorba ormai la canzone italiana. Ecco quindi il solito rivolgersi col “tu” a personaggi reietti dalla società o comunque sue vittime, raccontando e spiegando loro in che condizione vivono ed esprimendo pena per essi. Ecco la solita galleria di personaggi per far pena: la prostituta (“Michelina qui sulla strada / dove gli uomini per te / sono una passeggiata”), il soldato mandato in guerra (“Soldatino che non capisci / il perché delle tue atrocità”), l’accoltellatore, il bluesman napoletano, lo scemo, la vedova ecc. Sembra che il repertorio d’argomenti della canzone d’autore italiana non sappia muoversi da De Andrè: il quale però, che era un grande, aveva l’accortezza di far parlare i personaggi in prima persona (come in “Non al denaro, non all’amore, né al cielo”), o di parlarne in terza persona, e spesso con pena mitigata da ironia, cosa che li rendeva veramente umani. Qui invece (come in mille altri prodotti) c’è l’impressione di trovarsi di fronte a personaggi di cartapesta, da libro “Cuore”, di cui si parla pietisticamente, allo scopo di far commuovere, sullo stile di quel realismo ottocentesco minore alla Matilde Serao o alla Salvatore Di Giacomo. Il bello è che le stesse cose, e lo dico provocatoriamente ma per avviare una riflessione sul modo di fare canzone d’autore oggi in Italia, le fanno anche i Gemelli diversi: pensate a “Mary”, al quel personaggio estremo costruito per far piangere, a quell’accumularsi di dolori e pianti. Per quanto le intenzioni di Rega e di chi fa canzone d’autore siano sincere, questo modo ammuffito di trattare una materia ammuffita produce risultati simili al peggiore r’n’b commerciale. Se dovessi far un paragone politico, direi di pensare a Fassino o a Rutelli: hanno la stessa carica vitale. Zero.
Secondo: la musica. Rega è ottimo autore, ma lui lo si sente davvero poco. Ascoltate questo disco se siete orfani degli Avion Travel, dell’Ivano Fossati da canzone popolare (in “Vecchio casello” i primi due versi sono cantati perfino alla maniera di), del solito Vinicio Capossela, se il nuovo “Elegia” di Paolo Conte non vi basta (“Reré” è veramente una outtake dell’astigiano). Si passa incessantemente tra climi di orchestrine primo Novecento, accenni jazz ora swing ora zigani, riferimenti a Tom Waits e De André. Sembra che la musica d’autore italiana sia presa in ostaggio da questa manciata d’autori. O in altri casi dal filone bolognese-impegnato. C’è di che essere pessimisti. D’accordo che è auspicabile muoversi sulle tracce della tradizione italiana: ma su essa bisognerebbe innovare, costruire qualcosa di nuovo. Ascoltarlo è sempre più raro. E perfino quelli bravi, come Rega, paiono prigionieri del passato.
Ma per i club universitari più intellettuali, così come per critici vecchi dentro, Rega è perfetto. Chi si accontenta gode.
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La recensione Concerie di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-12-18 00:00:00
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