Per parlare degli Uncode Duello e del loro disco occorre parlare prima dei soggetti che ne sono coinvolti. In primis, i due musicisti, Paolo Cantù e Xabier Iriondo, giunti all’ennesimo capitolo di una saga musicale che ha conosciuto esperienze scostanti quali Six Minute War Madness, A Short Apnea, Tasaday, Four Gardens In One… Sul versante produttivo, invece, ci sono due etichette quali la Wallace e la Ebrìa che, alla Milano da bere, hanno sempre contrapposto una Milano da ascoltare con cura e attenzione, per quanto l’ascolto potesse essere intimidatorio.
Basterebbero questi nomi a garantire il valore del disco, ma vale la pena aggiungere qualche parola. Per meglio dire varrebbe la pena aggiungere qualche parola se ce ne fossero in grado di esprimere compiutamente quanto è dato ascoltare. Come spesso accade nell’ambito della musica di ricerca, infatti, i termini canonici sono quanto mai carenti in fatto di precisione. Un termine come post-rock, ad esempio, cosa spiega? Già parlare di improvvisazione e jazz è più calzante, perché gli Uncode Duello procedono soprattutto in queste direzioni, incrociando gli strumenti in elucubrazioni libere e sconnesse.
Occorre tuttavia aggiungere che questo stile di base si arricchisce di volta in volta delle più svariate ispirazioni. Sono perfettamente percepibili echi di ambient (“L’alba del disagio”) di musica concreta (“Nursery Rhyme”), di musica orientale (“Soundtrack for UD”), di collage (“Prestu, Pentsakor eta Pegatu”), di noise-rock (“Turnontuneindropout”). Senza contare poi tutte le voci più o meno filtrate e distorte che scorrazzano in lungo in largo assieme ai più svariati strumenti tra cui spiccano, chitarre da tavolo, pianoforti trattati e fiati vari. Il penultimo brano, “Debut Rescue”, sintetizza in nove minuti tutte le ispirazioni trattate nel corso dell’album.
Non so quanto il disco degli Uncode Duello possa considerarsi innovativo o originale. Di certo si tratta di un album molto vario ed ispirato che sa fa ascoltare con piacere dall’inizio alla fine, sapendo essere emozionante ed evocativo. In ambito impro-jazz si tratta di pregi molto rari che vale la pena cogliere al volo.
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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-12-29 00:00:00
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