Talvolta la razionalità ci aiuta a capire che stiamo amando un fantasma o un ricordo che non ha più nulla a che fare con la nostra vita. La sola ragione spesso non basta e aggrapparsi ai sentimenti è qualcosa di tanto pericoloso quanto inutile.
Il nuovo album di Marcello e il mio amico Tommaso si infila tra i chiaroscuri di questa consapevolezza prendendo ispirazione da “Un amore”, l’ultimo romanzo scritto da Dino Buzzati che dà anche il titolo al disco. Questo tributo pop (il primo?) al grande scrittore italiano si può sfogliare rapidamente come le pagine di un libro divorato in ogni occasione possibile per leggerlo. La malinconia che pervade i testi è protetta da un involucro di melodie e ritmi veloci. Una pellicola trasparente che non nasconde e lascia in primo piano un’accurata scelta di parole accompagnata da suoni che talvolta fanno pensare a Pavement, Weezer, o Vaselines. Si tratta di un cambio di rotta netto per il gruppo romano che ha iniziato anni fa a muoversi sulle tracce di Magnetic Fields e Beirut per poi consolidare la propria anima su una dimensione acustica (“Nudità”).
I testi vivisezionano i sentimenti e le difficoltà di un amore intenso che una volta finito non smette di fare soffrire e sognare. I due protagonisti, un ragazzo e una ragazza, vivono distanti, in mondi paralleli e si uniscono nel ricordo di quello che erano. Lui vive di una malinconia che cerca di combattere con la razionalità e con il coraggio di ricordare quando le cose non funzionavano ma in quel momento non si riusciva ad ammetterlo (“2009”, uno dei pezzi migliori di tutto il disco). “Tornassi mia, non riesco a immaginarti fuori da fotografie”, l’innamoramento pare comunque finito e il sentimento che resta, per quanto sia forte, non riesce a disegnare un orizzonte. Per lei sembra prevalere la consapevolezza per cui è meglio stare bene con se stessi piuttosto che soffrire per qualcosa che non esiste più - “passare gli inverni riscaldata dal niente non è il top ma non è neanche la fine” (“Non è il top”) - ma il dolore si manifesta lo stesso in attese infinite per qualcosa che non si sa bene cosa potrebbe essere.
Nonostante il dramma nei testi e alcuni momenti davvero molto struggenti (“La sola coppietta del mondo”, una bellissima canzone da consumare a piccole dosi a seconda della salute del vostro stato emotivo), “Un amore” non è un disco da ascoltare quando si ha voglia di piangere o si sta male. Contiene un’energia straordinaria e le stonature che si sentono qua e là possono essere anche il frutto dell’inesperienza di questo giovane gruppo italiano ma restituiscono una spontaneità che, a mio avviso, non rovina affatto il risultato finale.
Il disco è stato registrato (quasi tutto) in presa diretta in un piccolo studio tra i vicoli di Trastevere, a Roma. Il suono della campana che si sente nella coda di “2009” è stato catturato casualmente durante le registrazioni, proviene dal campanile di Santa Maria in Trastevere, la chiesa che guarda la piazzetta vicina a dove il gruppo si ritrovava per qualche birra alla fine delle giornate di lavoro. Sono ricordi del 2014, quando l'album ha cominciato a prendere una forma solida. Esce solo oggi, più di due anni dopo. Ed è davvero un bene che finalmente tutti lo possano ascoltare.
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