La desolata e perduta provincia americana come proiezione scenografica di un tormento interiore, sulle note di uno psych-folk scarno e fantasmatico.
Primo album solista per il chitarrista degli In My June che, dietro il moniker di Richard B. and the Drop Inside, intraprende un vero e proprio viaggio immaginifico attraverso un’America desolata e crepuscolare, scarna e fantasmatica quanto quella sua 6 corde utilizzata come strumento di trasformazione della perduta provincia a stelle e strisce in funzionale proiezione scenografica del proprio tormento interiore.
Quello di “City of souls” è uno psych-country-folk chitarrocentrico visibilmente affezionato tanto ai ’70 di Nick Drake e Neil Young quanto a certo American Primitivism riletto alla luce delle visioni elettriche in lo-fi dei Grant Lee Buffalo e dell’intimismo panoramico di Okkervil River e Woven Hand. Grandi nomi del folk rock statunitense (e non), dunque, qui ridotti ai minimi termini dal musicista trevigiano per orchestrare dieci brani che trasudano solitudine da ogni accordo, arpeggio e trama vocale, nei quali qualsivoglia parvenza di corporeità perde consistenza laddove il sangue caldo dei sentimenti si disperde in un rivolo di narrazioni sfuocate e inafferrabili (in fondo di “anime” si parla), all’insegna di un songwriting asciutto e dimesso che ci consegna una sorta di Elliott Smith all’italiana, se proprio volete un appiglio sicuro.
L’opener “Clouds”, “Awake” e la title track gli episodi migliori e più rappresentativi di un disco che richiede centellinati ascolti in solitaria per essere apprezzato a pieno in tutta la sua filiforme bellezza.
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La recensione City of Souls di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-02-23 00:00:00
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