C'è tutto l'ardore dei vent'anni e la voglia di urlare al mondo che l'hard rock è vivo, nient'affatto moribondo, in questa band capitanata dai fratelli Motta con Francesco Ventu alla chitarra e Alessio Nava alla batteria. Dirò subito che i Nyt hanno tradito le mie aspettative, nel senso che l'immaginazione di chi scrive ha fatto cilecca. Nessuna schitarrata becera, trita, forsennata, ma trame piuttosto articolate e ingegnose, degne di chi ha già una discreta consapevolezza dei propri mezzi. Per contro, l'assai trascurabile accento inglese del cantato di Simone, qualcosa a metà tra primi rudimenti scolastici e maccheronico scondito. Ancora: brani che non si limitano a scagliare pietra dura ma pure prog a tratti venato di gothic. Come "Lasher", esemplare nei suoi cambi di ritmo. O "Early morning", prima sospesa in un'aura fatata poi assorbita dall'energia cara agli estimatori del genere. La meglio riuscita, pur pregna di Led Zeppelin e Deep Purple, appare "Come to me", col suo andamento incalzante a suggerire un pericolo in arrivo. Doveroso citare alle tastiere Stefano Gattini, soprattutto nella buona rilettura di "Born to be wild" degli Steppenwolf e "From out of nowhere" dei Faith no more, più lenta dell'originale (vorrei vedere…) e con Simone Motta che… diciamo ce la mette tutta. I Nyt stanno sulla strada giusta. Miglioriamo la dizione e il futuro potrebbe riservare qualche sorpresa.
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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-01-06 00:00:00
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