All'annuncio del crowdfunding per realizzare questo disco, ho subito pensato a due cose: la prima è che gli album di Amerigo Verardi si comprano ad occhi chiusi, mentre la seconda è che faceva uno strano effetto pensare a un'opera dell'artista brindisino senza che ricorresse in qualche modo ad un moniker che non sia Allison Run/Lula/Lotus. Evidentemente, intestarsi un doppio album col proprio nome e cognome a 23 anni dall'uscita di "Morgan" e a 19 da "Cremlino e coca", ha un senso ben preciso legato a "Hippie dixit", lavoro talmente denso che di prim'acchitto poco sembra c'entrare con il passato.
E infatti i primi ascolti disorientano, perché ci trovi sì l'inconfondibile cifra stilistica dell'autore ma non ci sono schemi di riferimento: scrittura e arrangiamenti spesso lontanissimi dalle aspettative, anche per coloro che già avevano avuto modo di incrociare in passato l'immaginario sonoro di Amerigo. 14 tracce ambiziose (come pochi altri oggi nel panorama italiano), lontane, lontanissime da ogni compromesso; non è un caso che Verardi abbia optato per la formulazione del doppio album, affinché non vi fosse praticamente alcuna limitazione alla vena compositiva.
Il risultato é una sorta di flusso di coscienza messo in musica, dove l'unica regola è quella di mantenere un approccio completamente free. Per questo appare complicata la classica operazione di catalogazione dei singoli episodi, fin dalla traccia di apertura ("L'uomo di Tangeri"), oltre 14' in cui è d'obbligo abbandonarsi (piacevolmente) alla psichedelia - il fil rouge di "Hippie dixit" - per poter entrare subito nel mood giusto dell'opera. Le successive "Terre promesse" e "Pietre al collo" aprono invece uno spiraglio sulla forma canzone, ovviamente in una visione agli antipodi di quella tradizionale (per intenderci, qualcosa di molto vicino a Umberto Palazzo in versione solista). "Due Sicilie" invece cambia marcia, spostandosi su un versante decisamente più rock e per nulla inedito a chi già frequentava la musica di Lula e Lotus. Arrivati a questo punto siamo a neppure 1/3 del disco e di carne al fuoco ce n'è già tantissima; ma altrettanta ce n'è nelle 10 tracce rimanenti, e in questa sede diventa impossibile citarle una ad una, avendo a che fare con un carico di suoni e di sfumature sempre diverse fra loro, ma tutte orbitante intorno alla stella di Verardi.
Mano a mano che frequenterete l'opera i tasselli torneranno pian piano al loro posto e l'iniziale sensazione di disorientamento verrà quindi meno, lasciando spazio alla consapevolezza che si è di fronte a un disco enorme, qualsiasi sia il punto di vista da cui lo si osservi. Scopritelo voi stessi, anche per rendervi conto che di album così coraggiosi ce n'è sempre bisogno - così come c'è e ci sarà bisogno della musica di Amerigo Verardi.
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