Un manifesto musicale per la Ryanair generation, in bilico fra (molto) folk e (poche) sperimentazioni, in grado di accompagnarvi nei vostri viaggi più felici e malinconici
Le immagini che vengono alla mente ascoltando questo "Koffer" del cantautore statunitense Ian Fisher sono le solite, rassicuranti istantanee di una gioventù raminga, persa nei paesaggi americani fuori dai finestrini di un pulmino e sempre in movimento alla ricerca di qualcosa che non c’è ma che vale comunque la pena di cercare. Non a caso, è lo stesso Ian Fisher a spiattellarci in faccia la sua anima girovaga, mettendo in copertina una valigia, e chiamando il suo disco “Koffer” che, per l’appunto, in tedesco significa valigia. Il ricorso all’idioma germanico non è casuale, perché, come se non bastasse, la maggior parte delle canzoni di questo album sono state scritte e registrate fra Berlino e Vienna, prima di essere pubblicate da Rocketta Records qui in Italia. Un melting-pot assurdo per un disco che sembra un manifesto musicale della Ryanair generation.
L’attitudine è quella dell’indie-pop più delicato degli ultimi anni, fra Mumford & Sons e Lumineers, strizzando l’occhio, però, anche a Magnetic Fields e Vic Chesnutt nei suoi episodi più raffinati. A farla da padrona è la chitarra acustica, a volte arpeggiata, altre strimpellata, ma c’è spazio anche per scappatelle nel mondo elettrico, maturate, dice Fisher, sotto l’influsso della scena berlinese e di quella viennese. Ne è un esempio la title-track “Koffer”, disperato valzer elettrico cantato interamente in tedesco, in cui i meglio intenzionati possono riuscire a intravedere anche i Goldfinger, ma che resta comunque una gradevole cavalcata in stile Kings Of Leon. Paradossalmente, i pezzi più acustici sono quelli che hanno meno da dire, se si esclude “Settlin’ In”, un divertissement per banjo che avrebbe fatto la sua figura a Newport nel ’64 e in cui svetta il gusto per la pastorale americana in stile Joan Baez.
In “Whole Lotta Room” il nostro lascia andare gli ormeggi e si abbandona spudoratamente a quello che sa fare meglio, vale a dire le ballatone emozionali alla Mumford & Sons e via dicendo. “If You Wanna Stay” invece, è un’escursione delicata e riuscita in territori più "alti". I primi a venirmi in mente sono i Magnetic Fields (non lapidatemi!), ma c’è il ricordo anche del Vic Chesnutt di "Flirted With You All My Life". Chiude l’album “Nothing”, che sembra promettere bene con quel piano elettrico in apertura e che fa ancora meglio trasformandosi in un allegro cazzeggio country in stile Hank Williams.
Insomma, tutto è bene quel che finisce bene, per un album che non spicca per originalità, ma che è capace di emozionare. Specialmente se ascoltato mentre si guarda il paesaggio scivolare via fuori dai finestrini di un treno.
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La recensione Koffer di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-06-05 00:00:00
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