Due bellissime notizie: i Soviet Soviet sono cambiati; i Soviet Soviet sono sempre gli stessi.
Pesaro è una donna intelligente. Eppure Spotify rivela che non c’è nessuna città italiana nella top 5 degli ascoltatori dei Soviet Soviet. Sono piuttosto Città del Messico, Madrid e Guadalajara a dimostrare, oltre all’intelligenza, un amore sincero per il trio marchigiano. È un po’ come la felicità straziante che si prova nel veder partire una persona a cui si vuole bene: le si augura tutto il meglio, ma vederla allontanarsi provoca un nodo in gola.
Non si riesce a stabilire se la sensazione sia frutto della forte emotività dei brani o dei ragionamenti sulle fredde statistiche della piattaforma: è in ogni caso un gran bel compromesso tra cuore e cervello. Una cosa però è certa, ed è una bellissima notizia: i Soviet Soviet sono cambiati; i Soviet Soviet sono sempre gli stessi.
Dopo il capolavoro del 2013, la band è riuscita nell’impresa di mantenere una propria identità forte, senza correre il rischio di ripetersi o risultare stantìa. “Endless Beauty”, in questo senso, è forse il segno più evidente dell’evoluzione del gruppo: un suono più curato, più ragionato e, soprattutto, un maggiore interesse per le melodie. D’altra parte il nucleo della nebulosa è rimasto intatto: la corposa new wave in stile A Place to Bury Strangers, le chitarre affilate e distorte e la massiccia sezione ritmica sono sempre lì a ricordarci di quel sound Soviet Soviet che si è fatto conoscere e apprezzare dall’America all’Est Europa.
Tra il fischio d'inizio col basso corposo di "Fairy Tale" e la nebulosa col buco nero al centro, dove prima c'era una stella, di "Remember now", arriviamo nel cuore del disco: “Going Through” e “Star” sono degli inni con un enorme potenziale dal vivo, capaci di raccogliere l’eredità del precedente album e proiettarla verso il futuro. Un futuro di stelle luminose e talvolta anche danzerecce ("Surf Palm"). Un futuro, probabilmente, in cui il post-punk dei Soviet Soviet strizzerà sempre di più l’occhio all’attitudine pop. Ciò che il gruppo ci riserva nel presente, intanto, è un altro disco solidissimo, il secondo di fila.
A questo punto non resta che un’ultima grande sfida da affrontare: farsi ascoltare da Franco Battiato e convincerlo a ritrattare su quel "non sopporto la new wave italiana".
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La recensione Endless di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-12-05 00:00:00
COMMENTI (1)
bel disco!
La settimana è la prima di dicembre 1981 vero?
E li accosti a A Place to Bury Strangers... magari prima vengono Killing Joke, Echo & the Bunnymen, Joy Division e una tonnellata di band morte vent'anni prima... ma forse per chi ascolta i dischi per rockit le "origini" sono gli Interpol :)
Sta roba oggi si rifa moooolto facilmente, i suoni sono quelli di 35 anni fa, solo che adesso la qualità e la definizione sono più alte e in un qualsiasi studio anche di medio livello si possono avere quei fantastici suoni di una volta. Ma di una volta. Senza nulla togliere al disco che è godibilissimo, ma è come comprare una replica di una chitarra degli anni '60. E' una replica, nostalgica, oppure è per chi non c'era.. e forse pensa che questa roba sia nuova! Nulla di male, ma se recensisci un disco così non puoi non dire che è SUPER derivativo, senza un grammo di originalità (ma con stile). Non è neanche una "rilettura" del genere, ma proprio una copia con tutte le cose al posto giusto. Potevano fare la cover band, nessuno si sarebbe accorto della differenza.
ps: in effetti oggi anche gli interpol hanno ormai vent'anni, quindi è difficile capire se copiano l'originale o la copia...