"L'uomo che viaggiava nel vento e altri racconti di brezze e correnti" di Murubutu, già dal titolo, è un album largamente ambizioso. L'album, pubblicato da IRMA Records, è una specie di tesi di laurea sull'arte del racconto in musica. Murubutu, aka Alessio Mariani, infatti pare aver riversato in questo lavoro tutte le proprie suggestioni, le proprie influenze, anche e soprattutto letterarie e storico-filosofiche, in maniera ora sincera e diretta ora mediata e ragionata. Si prenda la seconda canzone (ma non sarebbe mai sbagliata chiamarla storia), "La bella creola": si tratta di un racconto sonico in cui gli orizzonti diventano tropicali, romantici e disperati, in fitto un narrato a metà strada tra Jorge Amado e Il Corto Maltese di Hugo Pratt.
Da un punto di vista strettamente musicale siamo compattamente all'interno dell'alveo dello storytelling hip-hop più tradizionale, forse l'unica via possibile per esprimere tutto questo universo così denso di riferimenti e rimandi anche elevati, con dovizia di particolari e cura dei dettagli. Da segnalare, la dodicesima canzone, "L'armata perduta di Cambise" (che cita l'omonimo titolo di un fortunato libro di Paul Sussman), la quale riprende un antico racconto di Erodoto su una sfortunata spedizione persiana che, nel 524 a.C., tentò, senza riuscirvi, di conquistare l'oasi dell'oracolo di Siwa. Murubutu compone un bellissimo schizzo del tempo antico, di grande impatto emotivo e perfetta costruzione narratologica.
Un disco quindi molto profondo, composto da quattoridici canzoni che sono altrettanti racconti-brevi tutti da ascoltare, dall'inizio alla fine. Da segnalare, facendo un passo indietro, "Levante", l'ottava traccia, che vede la collaborazione, d'eccezione, di Ghemon e Dargen D'Amico e "Il re dei venti" con il feautiring della crew La Kattiveria, di cui lo stesso Murubutu non solo fa parte ma ne è fondatore.
Lo strano caso del professore di filosofia (perché questo è, anche, Alessio Mariani) che insegna all'Istituto Matilde di Canossa di Reggio Emilia "a tempo di rap" ha fatto molto parlare di sé. Tuttavia Murubutu (che nel linguaggio mistico dell'Africa sub-sahariana significa "colui che guarisce i mali fisici e sociali") non pare mai voler insegnare qualcosa, piuttosto è sempre, compattamente, interessato a raccontare una storia ad un altro: un esercizio questo primitivo e social(e) al tempo stesso.
"L'uomo che viaggiava nel vento" è un'opera sicuramente di ottima fattura (con una splendida copertina firmata da Julien Cittadino) che trova nella title-track forse la sua migliore realizzazione. Il tredicesimo pezzo infatti, realizzato assieme a Amelivia, è quasi una specie di manifesto programmatico dell'artista che raggiunge il grado massimo della propria capacità di scrittura, evocando miti e mitologie fatte in proprio: "Nell'epica del cielo è il nuovo dio di vecchie alture/Poi scende a terra e tocca il mondo con i piedi/Dentro agli occhi custodisce il colore di 100 cieli/Quando torna dalle cime ha il vento in volto e sguardo perso/Aveva colto un'altra chiave per leggere il mondo emerso".
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