Il mito di “Orfeo ed Euridice”. Preso, rispolverato e adattato ai tempi. I tempi della generazione X (o come diavolo vogliamo chiamarla), quella raggruppata attorno ai social e allo smartphone. Più che altro, Pietro Berselli prende in prestito la poetica di Ovidio per raccontare se stesso, le sue storie, i suoi demoni. E spara giù bordate. Nervose, agitate, tese. Per poi rivestirle con la stessa inquietudine con la quale ha passato il tempo a sporcare i testi. Tirando fuori, con l’indispensabile aiuto del produttore artistico Tommaso Mantelli (già al basso con Il Teatro degli Orrori), un post rock evocativo e a tratti apocalittico, ben sostenuto da una vena riconducibile alla new wave, da qualche inserto elettronico e da evidenti richiami cantautorali.
Il suono di “Orfeo l’ha fatto apposta” vive tra fraseggi narcolettici, improvvisi assalti sonici, oltre a reggersi tra ragionevole solennità e sprazzi di malinconia. Un po’ Slint, un po’ June of 44, a men che non si dedida di mettere in mezzo anche i Massimo Volume. Banalmente forse, ma inevitabili da evocare quando il Berselli ai aggrappa a recitativi come “Diluire” (forse affrontata con eccessiva enfasi) e la cupa “In diretta”. Il suo è un viaggio tra le oscurità e le debolezze umane, un esorcismo in chiaroscuro, a tratti con prevalenza di tinte fosche, ma non per questo privo di efficacia e di buone intuizioni. Che sarebbe bello vedere confermate dal vivo. E poi chi ha mai detto che la cupezza debba essere per forza sinonimo di tetraggine e ombrosità?
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