La sensazione che prende al primo ascolto di questo demo non è positiva: il solito rock post-grunge mainstream alla Creed o, peggio, alla The Calling. Poi però, ascolta che ti riascolta, si capiscono due cose: che Giovanni Pedrollo ha una voce strepitosa, intonata, espressiva e dal bel timbro, e che probabilmente, al di là dei gusti personali di chi scrive, il mainstream post-grunge è proprio il risultato che i mantovani Anomia vogliono ottenere, alla ricerca di una legittimazione anche commerciale.
Allora però sorge un dubbio: se queste sono le premesse, perché cantare in inglese, castrandosi ogni possibile riscontro di cassetta? Senza contare che la bella voce di Pedrollo, che ricorda molto Jim Kerr dei Simple Minds, un po’ Scott Stapp, un po’ Alex Band e un po’ Francesco Renga, sarebbe ulteriormente valorizzata dall’uso dell’italiano. Le canzoni ci sarebbero, anche se manca ancora il singolone killer e, sebbene gli Anomia sembrino ispirati dal mid-tempo, un pezzo veloce ci vuole. Le strizzatine d’occhio, appena appena accennate, a un certo nu-metal alla Limp Bizkit o alla Linkin’ Park, sound egualmente commerciale, irrobustiscono il tutto senza appesantirlo. Una certa epicità dark delle canzoni potrebbe catturare adolescenti in cerca di grandi orizzonti. Ma tutto è vanificato dall’inglese.
Allora si capisce il perché del nome: secondo il sociologo Emile Durkheim, infatti, l'anomia è la sensazione di una mancanza di scopi o di mete. I quattro rockettari lombardi farebbero meglio a chiarirsi le idee. Perché dalla musica che fanno non pare che la loro aspirazione sia quella di essere oscuri sperimentatori chiusi in cantina da alchimista o raffinati dandy pop incompresi dalle masse. Ma quella di riempire gli stadi. Animo, allora!
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La recensione Frame of a moment di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-01-08 00:00:00
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