Tra Irlanda e provincia americana, il pop-folk di Chameleon’s Garden sta lì a ricordarci che siamo tutti foglie di uno stesso grande albero.
Dietro questa enigmatica “foglia” si nasconde Alberto Patriarca, songwriter torinese che accudisce un giardino immaginario tutto suo – multicromatico e cangiante – per dare libero sfogo alla propria introspezione, attraverso le armonie sommesse di un pop-folk che riesce a miscelare con mestiere semplicità e fregole sperimentali, intimismo e massimi sistemi.
Insieme alla sua 6 corde e a un manipolo di fidati gregari il musicista piemontese inanella 11 canzoni col piede perno puntato in Europa (Irlanda in primis) e l’altro ben allenato a bazzicare agli angoli più remoti della provincia americana. E “I am a leaf” adempie onorevolmente al suo sporco dovere (intrattenere con buon gusto e sentimento) proprio laddove riesce a impregnarsi fino al midollo di quello spirito girovago e stradaiolo acquisito nel tempo dal buon Alberto durante i suoi trascorsi da busker lontano dall'Italia.
Che siano, dunque, il retrogusto celtico di “Birth” e “Abred” – impreziosite dal violino di Tommaso Napoli e vicine alla sensibilità di un Marc Geary o un Kieran Goss – o le movenze nostalgiche à la The Connells di “Cliff Calm”, che siano i dolci tormenti di un Glen Hansard, mimetizzati tra gli accordi di “Byron Bay” e “Like a Rover”, o le voglie radiofoniche di “World One” (l’episodio più rockeggiante del lotto), che siano i vari punti luce di scuola James Taylor sparsi qua e là o il carezzevole congedo di “Wave”, imparentata col cuore a Damien Rice, tutto, dicevo, trasuda genuina gratitudine alla quotidianità e all’impagabile natura che ci ospita. Perché davvero, alla fine, siamo tutti foglie di uno stesso grande albero. E già soltanto per questo “I am a leaf” si meriterebbe un appassionato ascolto.
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La recensione I am a leaf di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-03-23 00:00:00
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