Amedeo Minghi pubblica un triplo album, con oltre 50 canzoni tra vecchi successi e inediti assoluti: ospitiamo la recensione scritta col cuore da un vero fan
Daniela Miglietta, in arte Mietta, vince la sezione nuove proposte del Festival di Sanremo nel 1989 con “Canzoni”. Ed io me ne innamoro quasi subito.
Passa un anno, e non è vero che è poco tempo.
Daniela ritorna a Sanremo mentre i miei ormoni di dodicenne si affacciano al disastro che sarebbero stati gli anni '90. Poi succede tutto in un attimo.
Johnny Dorelli presenta Mietta, presenta “Vattene Amore” e presenta il suo autore e coointerprete: Amedeo Minghi.
Ecco, è così che cambia la vita delle persone.
Andate a guardare chi era Amedeo Minghi a quarantatré anni. Con quella capigliatura folta e bionda che proprio non riesci a togliertela dalla testa. La capigliatura s’intende, e il pensiero della stessa.
Andateci adesso, cercatelo su Youtube quel video. Prima di proseguire con la lettura di queste umili opinioni. Altrimenti non sarà mai chiaro perché sono qui, proprio adesso, a scrivere di questa raccolta che arriva ventisei anni dopo.
Seguo Minghi negli anni successivi a questa epifania.
Mi appassiono alla sua poetica sognante che narra di amori giovani del dopo guerra italiano e del tempo bello che passa vivendo.
Ne assaporo la malinconia costante che fa da cotone per tutte queste canzoni a forma di perle e mi sembra di essere più grande perché mi viene raccontata la precisione della macchina amorosa.
Nonostante questo, do per scontato il mio rapporto con l’opera del maestro e finisco per rischiare di perdere questo legame dedicandomi ingenuamente a fugaci innamoramenti musicali lunghi quanto una doccia con la radio accesa.
Che pischello.
Poi gli anni passano, doccia dopo doccia, e mi ritrovo adulto. Con un triplice disco di registrazioni inedite da far passare nello stereo. Dieci canzoni nuove nuove, undici successi rivisitati per la prima volta in studio compreso qualche inedito appartenente al suo percorso di fede e venti rarità. Vere “chicche” per collezionisti e appassionati scovate tra provini e tracce che non hanno trovato spazio nel repertorio discografico del nostro beniamino.
“La bussola e il cuore” è il regalo che Minghi, in occasione del cinquantesimo anniversario di questa carriera a fiume, ci vuole fare. E noi ce lo prendiamo e lo ascoltiamo. Disco per disco. Che uno su tre è anche molto interessante.
“Mappe”, il terzo cd, il più trasversale, contiene brani registrati tra i primi anni '70 e la prima metà degli anni '80. Incisioni originali in cui si percepisce, soprattutto in alcune, la puntina che tocca il solco del vinile. Tante le curiosità da scoprire: un brano scritto per Gabriella Ferri, “Nun ce l’ho”, e che non interpretò mai; “Il coraggio di tornare”, firmata con Franco Califano; “Sicura”, che uscì per i Pandemonium, e “Ti perdo e non vorrei”, per Rita Pavone. Ma quanto mi piace la voce e il piano de “Il cuore è amore”. Con un titolo tanto rassicurante ma nello stesso tempo sorprendente: come non notare che ci vengono date solo due parole al posto delle canoniche.
“La terra di mio padre” è un tuffo nei ricordi di un bambino già uomo che, con le guance rigate, racconta vicende di tempi che non ci sono più. Questo disco lo consumo, sappiatelo. Che proprio non ci credo sia finito nel mio stereo. Ma lo sappiamo, "un incontro non è mai fatalità”.
Andiamo ancora indietro, che ad andare avanti sono buoni tutti, ed ecco “Il cuore”, che raccoglie cinque classici del repertorio di Minghi, totalmente riarrangiati e rivisitati in studio. Apre “1950”, canzone manifesto della sua opera e di chiunque ne capisca anche solo minimamente di poesia.
Poi ”L’immenso”, “La Vita Mia”, “I Ricordi del cuore” e la succitata “Vattene amore”. Il celeberrimo “Trottolino amoroso” fa da apripista a quei brani che completano il disco mettendo in luce un intenso percorso spirituale che spazia dal messaggio di San Francesco alle parole di Giovanni Paolo II.
Ma non avercela con me, Amedeo, se non riesco a far altro che canticchiare per tutto quanto il disco di Serenella e di come le è stato promesso di portarla al mare. Che poi davvero c'è andata? E ha trovato bel tempo?
È che purtroppo il mio percorso spirituale ha compimento quando mi sdraio al sole con la Serenella che amo. Che ci vuoi fare, ognuno deve scendere a patti col dio che ti risponde al telefono.
E per finire, l’inizio.
“La bussola” è il nuovo album che esce ad undici anni di distanza dal precedente e che contiene le composizioni inedite realizzate dall’artista, uno sguardo mai sazio sul mondo, con quella cifra stilistica che lo ha sempre reso distinguibile, unico nel suo modo di comporre melodie.
Dieci brani, due dei quali firmati a quattro mani con Mogol, che raccontano un viaggio nell’anima, dove il fascino è più nel viaggio stesso che nella meta. Come quando vai in gita con la scuola e quando ritorni ti ricordi solo di quei cinque seduti agli ultimi sedili ma del museo che hai visitato neppure un allestimento.
Eccole qui, le nomino tutte: “In una notte”, “Pensando a te”, “Com'è bello il mondo”, “Gente sul confine”, “Vero più del vero”, “Verde è la speranza”, “Come se fosse vento”, “Siamo questa musica”, “E viene il giorno”, “Il mondo senza di noi”.
A fare tre dischi così ci vuole coraggio, serve ammetterlo. Perché non è un progetto da “la tocco piano”.
Questo cofanetto è la celebrazione di una montagna con la faccia sorridente. Un caleidoscopio di suoni ed emozioni condite da una scrittura rotonda che si perde nel tempo e riaffiora oggi splendendo di quella semplicità dei racconti della mamma. Si sentono gli anni passati a cantarle e a scriverle, queste canzoni. Si sentono, sono cinquanta e hanno un peso leggero.
Ed è un enorme privilegio quello di avere la possibilità di parlarne con altrettanta leggerezza.
Sembra niente, è vero.
Ma il cuore era il mio.
Du du da da da.
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La recensione La bussola e il cuore di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-12-02 09:00:00
COMMENTI (2)
Mi sono imbattuto per caso in questa recensione di 4 anni fa perché stavo cercando un testo (di Panella) di una canzone di Minghi su Google, e Google mi ha indirizzato su Rockit (?!?!?!). Non solo scopro che su Rockit ci sono i testi di Minghi, ma addirittura c'è la recensione del triplo cofanetto del 2016.
Beh, devo lasciare un commento per forza.Mi sono imbattuto per caso in questa recensione di 4 anni fa perché stavo cercando un testo (di Panella) di una canzone di Minghi su Google, e Google mi ha indirizzato su Rockit (?!?!?!). Non solo scopro che su Rockit ci sono i testi di Minghi, ma addirittura c'è la recensione del triplo cofanetto del 2016.
Beh, devo lasciare un commento per forza.
Caro Alessandro Giovanniello, l'inizio del tuo racconto mi ricorda molto il mio. "Canzoni" e "Vattene Amore", mi hanno molto influenzato da ragazzino. Mi sentivo un po' un alieno in verità. Io ascoltavo molta musica e studiavo piano classico, quindi ci stava, all'epoca, che fossi un "nerd" musicale e mi interessassi di tutto, anche dei cantautori italiani, ma nonostante tutto, c'era una certa ostilità da parte di tutti nell'affrontare una discussione sulla musica di Amedeo Minghi. Oggi comincio a scoprire che diversa gente c'era rimasta sotto all'epoca. Per fortuna. però, però, però... bisogna ammettere che non è possibile convincere e convincersi che sia tutto oro ciò che ci piaceva. Riascoltando oggi "I Ricordi del Cuore" o "Come Due Soli in Cielo", mi accorgo che qualcosa mancava (nelle produzioni soprattutto), e c'era qualcosa di troppo (nella scrittura a tratti melodrammatica). Delle produzioni più articolate, attente, ricercate, avrebbero giovato tantissimo a quei dischi degli anni '90; ora ne parlerei con molta più passione. La scrittura melodrammatica è la sua cifra stilistica e da lì non si scappa: è bella proprio perché è così. Se c'è una cosa da sottolineare è proprio la noncuranza nell'inseguire una moda, un trend... lui era così, scriveva così, ed è bellissimo che composizioni come "In Sogno", "Canzoni", "Vicerè", "La Santità d'Italia", avessero quelle strutture così strane ma melodicamente avvincenti. Però capisci che questa è roba che o ti piglia bene subito, oppure fai fatica a digerirla perché è pesante.
Comunque sia, quei dischi mi rimarranno in testa in maniera indelebile e questo soprattutto grazie ai testi.
Io mi innamorai dei dischi bianchi di Battisti, ma quando ascoltavo i dischi di Minghi degli anni '90, ancora non sapevo che l'autore fosse lui (non c'era la sua firma su Vattene Amore, ad esempio); l'ho scoperto anni dopo con l'avvento di internet, wikipedia e blog vari. E lì capii. Il merito della bellissima infatuazione per A.M. la dò anche a questa importantissima impronta. Duchesca (che firmò l'intero disco "Serenata", il primo dopo la separazione da un altro enorme compositore di testi: Gaio Chiocchio) non era altro che quel poeta pazzo della musica italiana chiamato Pasquale Panella.
E già che ho nominato Gaio Chiocchio, piccola parentesi: i dischi degli anni '80, secondo me, sono più interessanti, dal punto di vista delle produzioni, rispetto a quelli degli anni '90. Riascoltali adesso: hanno più varietà, non sono dei monoliti avvolti da archi sintetici! (Sì, ok, "I ricordi del cuore" ha un'orchestra che suona molto bene, ma le parti scritte per gli archi sono di una ovvietà tremenda).
Ecco, in sostanza volevo commentare con te e con quei pochissimi che capiteranno su questa recensione: Amedeo Minghi ha scritto brani molto interessanti con delle melodie assolutamente di altissimo livello, ma (e si avverte anche in questa raccolta) col difetto di essere stati prodotti e arrangiati in maniera poco lungimirante, semplificando troppo ciò che sta cantando (testi che parlano sì d'amore, ma in maniera complessa, come Panella-Battisti insegnano).
E bellissimo