Un respiro freddo e avvolgente che ci accoglie tra le sue eleganti spire
Ci sono certi momenti in giochi come The Elder Scrolls o The Witcher in cui, dopo aver maciullato decine e decine di orchi, armigeri o esseri di varie fattezze e natura, ti fermi un attimo, stremato e soddisfatto per le imprese compiute: ed è lì che scopri, letteralmente, che il tuo personaggio, oltre ad uccidere, evocare spiriti e prepare pozioni magiche, può vedere. Può vedere un mondo irreale eppure concretissimo, può sentire sulla propria pelle di pixel il vento che sibila fra gli alberi e può avvertire il cambiare delle notte in giorno e dopo ancora in notte. Questo a dire che un album come "Wandering" dei Rupert sembra quasi fatto appositamente per un'esplorazione, o per meglio dire un vagabondaggio, più letterario/immaginifico che reale e fisico.
In un certo qual modo infatti i sei pezzi dell'album sono tutti assimilabili a un respiro freddo e tagliente di una dama, forse una fattucchiera, altera e distante, che ci scruta dall'alto dei suoi merli. Già in "Interzone", la prima traccia, gli archi sospingono questa idea di alterità e di maestosità; sensazioni che vengono riprese e ribadite anche nella successiva "Lost" (mai titolo fu più azzeccato). E si continua quindi in questo vagabondaggio chamber-pop senza meta e senza fine, ma che viene compiuto con sapienza inesorabile, non perdendo mai di vista l'orizzonte. Solo in alcuni momenti, in "Empty Room" ad esempio, i contorni di questo viaggio non sono ben definiti. Ma con canzoni come "Fractalus", l'ultimo pezzo, tutto si comprende: viaggiare, anzi vagabondare, non è una scelta, ma un condizione di esistenza per alcuni, costretti, loro malgrado, a peregrinare su questa nuda e fredda terra. Tanto vale, allora, farlo con eleganza no?
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La recensione Wandering di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-02-10 00:00:00
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