“La geometria delle abitudini” dei Vostok è quell’atmosfera di calma rilassante, di confortante tranquillità, che sembra quasi irreale e che sta in uno sguardo sul tramonto sul mare. “L’ultima notte” è un brano di quasi 6 minuti e apre il disco. Nonostante la lunghezza, riesce a non annoiare mai e anzi dopo il secondo ascolto viene quasi voglia di canticchiarla sottovoce. Il testo è scosso da venature poetiche, l’armonia della melodia è un tutt’uno con la voce, sempre sorprendentemente precisa, ma senza mai strafare. “Avia” si arricchisce dei suoni striduli del violino che riproducono il verso dei gabbiani sul mare. “Le tue labbra” è una lontana vicinanza, il tentativo di toccarsi e di sfiorarsi. Gli spazi strumentali si dilatano e lasciano spazio all’immaginazione, è la notte che “ci avvolge lussuriosa e ambiziosa” ed è uno dei brani migliori. Così come appare perfetta “(L’orizzonte brucia) dove cammini tu”, retta da dolci arpeggi di chitarra acustica che accompagnano i movimenti della voce in un equilibrio sorprendente in cui entrambi gli elementi appaiono fondamentali.
Una nota a parte la merita “Downfall”, unico brano in inglese, molto più vicino al folk che al jazz. È l’unica che esce un po’ dagli schemi e lo fa in grande stile, perché alla fine forse è il brano migliore. E questo dimostra che i Vostok sono anche in grado di osare, e quando lo fanno, lo fanno con capacità e consapevolezza.
Insomma, l’essenza dei Vostok è chiara fin dall’inizio: la musica è elemento fondamentale di tutto il progetto: i passaggi strumentali, infatti, sono estesi e frequenti, senza nessun timore di risultare noiosi. È musica che infonde calma e tranquillità, perfettamente accordata con la voce, che ne diventa il complementare sussurrando piano e leggermente all’orecchio. È musica che infonde calma e tranquillità, perfettamente accordata con la voce, che ne diventa il complementare. Ma anche quando è sola, la musica è capace di comunicare attraverso gli strumenti, le accelerate e i rallentamenti, come nelle due splendide “Mondrian” (parte uno e parte due), due brani acustici e strumentali che sembrano colonne sonore di un film. Soprattutto la seconda è un crescendo che proprio verso la fine alza il ritmo, prima di tornare a scivolare lentamente sulle note stridule del violino. L’unico consiglio è osare di più, perché uscire dagli schemi ogni tanto fa bene.
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