Giobia Beyond the stars 2005 - Psichedelia

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Per il loro esordio discografico se ne sono andati a Londra, dove il melting pot è feroce e le differenze sono usate per meravigliose manipolazioni, non certo per creare barriere. Lontano dalla natia nazione selvaggia dunque, dove i Giöbia, con tutta probabilità, non sarebbero riusciti a registrare “Beyond the stars”, che invece è un disco inglese, in grado di mettere insieme richiami orientali, rock, pop, dance, atmosfere etniche. Se una città come Londra è stato il faro di questa operazione, la band milanese si è servita della più completa libertà artistica per arrivare ai propri scopi. E una volta chiarito il concetto che la mancanza di una certa omogeneità non è certo il pregio di questo lavoro, è necessario controbattere che la beata incoscienza con la quale i ragazzi usano indifferentemente strumenti etnici e moderni, ripaga ampiamente le scelte adottate.

“Beyond the stars” è un bel disco, non ci sono dubbi. I Giöbia lo inaugurano con un pezzo in chiave prettamente dance (“Politurbo”), che evita volutamente di dimenticare l’oriente e dà spazio ad una chitarra che sembra uscita dalle mani di un The Edge ultratecnologico. Elementi, questi, che tornano spesso e volentieri a fare capolino: “Mathar” è un abbraccio all’India, una “Within you, without you” del nuovo secolo (peccato non poterla sottoporre al giudizio di George Harrison) che fa il paio con una orientaleggiante (e forse più legata alla tradizione) “Green tea”. E se il rock si fa largo in “Waiting for the another moon” (peccato per un banjo fuori contesto), “Fellini” gioca su atmosfere pop, mentre “The rue de Sela’s ritual” è uno strumentale ipnotico, e forse un po’ ripetitivo, che ben si adatterebbe alla ideale colonna sonora di un film girato nel mezzo del Sahara. Ma è la title-track il pezzo migliore del lotto, specie quando lo space-rock della parte finale prende il sopravvento e il paragone con gli Hawkind diventa quasi naturale. Vissuto in mezzo a dosi abbondanti di synth, ma anche tra bouzuki, theremi e tamburelli, il cd, con il suo eccesso di volubilità, non deve spaventare: è tutto tranne instabilità o incoerenza. Tornassero pure in Italia a registrare il prossimo lavoro: con un biglietto da visita come questo, non sarà difficile giocarsi il futuro anche in casa.

Last but non least, l’acquisto di “Beyond the stars” contribuirà al progetto della cooperativa Chico Mendes “Argentina equa e solidale”: per ogni cd venduto, un Euro verrà devoluto alla causa dei diritti degli indigeni argentini, alla difesa delle loro cultura e tradizioni.

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La recensione Beyond the stars di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-01-27 00:00:00

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