"Seven Mental Illness" risuona come un’antifona concisa e perentoria dell’essenza stessa del disco, sette brani pervasi da sonorità secche e algide; come una fredda giornata di Berlino vissuta da un soggetto fortemente ansioso.
Il lavoro dei Todesstrahlen è un’opera prima, che aderisce perfettamente allo spirito DIY. La registrazione e la produzione sono state eseguite in totale autonomia, dopo di che l’album è stato rilasciato su audiocassetta, limitandone le copie a 18 esemplari.
La traccia in apertura è "Polizei", un brano che sprigiona l’impeto della band in modo esponenziale, un crescendo di noise nichilista, l’apertura a un lavoro che abbraccia due decadi di correnti musicali. Se da una parte si avverte l’influenza di figure come Genesis P-Orridge o Blixa Bargeld, dall’altra si tende a virare verso sonorità più shoegaze, ma in una connotazione diversa da quello che potremmo aspettarci, dato che non si sente nessun rimando diretto a dischi come Nowhere o A Storm in Heaven, bensì si avverte l’attitudine dedita ai feedback e chitarre tendenzialmente dilatate, ma complessivamente molto più taglienti e incisive. Non c’è niente di etereo nella sua complessività, perché il disco suona molto teutonico, molto industrial, forte del fatto che i Todesstrahlen hanno fatto un uso prezioso degli strumenti da lavoro, nel più tipico uso dell’industrial, convertendoli in strumenti musicali.
I sette brani sembrano essere sette capitoli diversi, che raccontano differenti stati d’animo, forti del fatto - come ho già anticipato - che i generi proposti spaziano in un largo lasso temporale, andando a lambire anche suoni prettamente gothic rock e dark wave, che ondeggiano tra l’incisività di "I sadly surprise you" a episodi più cupi e introspettivi come "Sacred", oppure "Fucking Robot", un brano capace di evocare uno scenario distopico; una cartolina dalla quinta rivoluzione industriale.
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