Brunori S.A.S
A casa tutto bene 2017 - Cantautoriale

A casa tutto bene

"A casa tutto bene" è una riunione delle paure e dei dubbi dell'uomo, è un dialogo a più voci, uno sguardo umano all'umanità di mezzo

"il giorno è sempre un po' più oscuro, sarà forse perché è storia, sarà forse perché invecchio
[...] Sono più famoso che in quel tempo quando tu mi conoscevi,
non più amici, ho un pubblico che ascolta le canzoni in cui credevi
e forse ridono di me, ma in fondo ho la coscienza pura,
non rider tu se dico questo, ride chi ha nel cuore l'odio e nella mente la paura" (Francesco Guccini, "Canzone delle osterie di fuori porta")

Non è forse più oscuro il nuovo Dario Brunori, che di certo però sta invecchiando nel senso più gradevole del termine. "A casa tutto bene" è un disco meno ironico rispetto ai precedenti, scritto da un uomo che matura assieme alla sua musica. È forse il lavoro più politico di Brunori Sas: politico perché corale, diretto, umano.
I cantautori classici raccontavano ciò che vivevano, spinti da esigenze espressive intime e reali. Brunori utilizza i loro strumenti (in primis l'attitudine impegnata) per imbastire una poetica che si trasforma in riflessioni disincantate. In questo senso, se nei primi dischi la vena ironica mediava la purezza della scrittura, nella quarta prova l'evoluzione è segnata dalla scarnificazione di quella mediazione, sostitutita dall'amarezza e da una discreta serietà.

"La verità" ne è già un manifesto. La canzone spiega a chi ascolta che questo non è il vol. 4 di Brunori Sas, non si riderà e se lo si farà sarà in forma disillusa, derivando il riso dalle riflessioni. Un brano che mette subito di fronte al problema di dover fare i conti con le nostre incertezze e la nostra pigrizia, la nostra paura del dolore e della sua elaborazione. È un manifesto anche sonoro del cambiamento estetico, avviato nel terzo disco e ormai acclarato: l'uso costante dei cori e l'impianto nazional-popolare si mescolano ad arrangiamenti a più strati, creando un equilibrio in cui la linea melodica è comunque la struttura fondante di ogni brano.
Il disco è molto più ricco di suoni rispetto ai precedenti e segna anche un cambiamento nella funzione degli strumenti. I fiati e gli archi, ad esempio, o l'uso delle mandole del '700, assumono una valenza tematica più forte (vedi "La vita liquida" e "Diego e io") e aggiungono un colore particolare che rappresenta un approccio rivolto sì al passato, ma con l'orecchio teso a suoni contemporanei.
Già nel primo brano si intravede poi il dialogo a due voci dell'artista con se stesso, quel "tu" a cui si riferisce anche in "L'uomo nero". È un viaggio all'interno di un cervello diviso tra due modi di pensare, uno razzista e radicato sui luoghi comuni, l'altro aperto e propositivo ("io che pensavo che bastasse cantare canzoni per dare al mondo una sistemata") ma adagiato su certezze confutabili. Uno che "a casa nostra, a casa loro" e uno che a volte si chiude "a chiave col chiavistello" e pensa solo a non fare figli. Le due voci si controbattono anche fisicamente nel mantra "e invece no", con cui continuamente si ribaltano gli assunti morali affastellati nelle strofe.

Mantra costante anche in "Canzone contro la paura", in cui l'ironia e la ruvidità vocale fanno capolino per analizzare lo statuto delle canzoni. Avere un pubblico comporta delle responsabilità: il tema, già al centro di alcuni dialogi tra Brunori e "Kurt Cobain", si declina qui come una meta-canzone che fa il verso a Brunori stesso e ribadisce la sua posizione di mezzo rispetto agli autori intellettuali. Come anche si accenna in "La verità" e in "Secondo me", è ormai sempre più pesante l'affidamento che si fa sulle canzoni per elaborare un sentimento, e magari risolverlo in maniera inaspettata. Insomma, "a volte basta una canzone, anche una stupida canzone, a ricordarti chi sei".
Come "Lamezia Milano", che torna alla radice, tra la Sila e l'Aspromonte, per riprendere un filo lasciato sospeso nel 2015. Protagonista del disco è San Fili, una comunità in cui l'empatia si crea per solidarietà e l'egoismo si trasforma in altruismo, in cui si applaude al pilota perché si è attaccati alla vita. È una dimensione sociale oggi sommersa dalla modernità ma non immersa. Brunori utilizza una voce privata, personale, quasi pascoliana, come specchio riflesso di due questioni pubbliche, universali. La lontananza temporale e ritmica tra la provincia e la metropoli, tra luoghi incontaminati che pagano lo scotto di uno sviluppo che non è progresso, e luoghi invece votati a un futuro cellulare, impiantato su uno schermo e non nelle facce di chi ci sta attorno. L'altro tema è la scoperta dell'altro, del diverso e del nuovo, che a volte terrorizza e allontana, ma che bisogna affrontare.

Come si affronta l'amore, che può snocciolare le sue sfumature non solo con una ballata sentimentale chitarra e voce, ma anche in un gesto efferato come "Un colpo di pistola" ("prima l'ho uccisa e dopo l'ho baciata"). La medaglia dell'amore non ha una sola faccia, è "pugno sulla schiena, schiaffo per cena, fanfara che suona la nostra canzone, un nodo intorno al collo nel buio di una prigione". Può essere anche un incidente e sfociare in un desolante panorama di abbandono e presagi di morte: in "Diego e io" il piano fa da contrappunto alla rabbia e ai rimpianti per qualcosa che sfugge dalle nostre mani lasciandoci impotenti e inquieti come i singulti di archi sferzanti, sospesi come l'accordo finale.
L'arpeggio iniziale invece rende subito il senso di "La vita liquida", che sulla scorta delle riflessioni di "Lamezia Milano" introietta nella persona di Brunori le preoccupazioni per una società votata al consumo, in cui chi ha meno rincorre senza mai arrivare.
L'approccio contemporaneo ai suoni si manifesta chiaramente in "Sabato bestiale", ritratto di un uomo superficiale ed egoista, che pensa solo per se stesso perché tanto lo fanno anche gli altri, dimenticandosi la morale.
La morale muore spesso, assieme alla coscienza. Muore nelle "morti per errore in un letto d'ospedale", nelle mani che si allisciano, nel "che cazzo ce ne frega". Siamo tutti Don Abbondio, pigri codardi e remissivi. Ecco allora che è il cantautore a prendersi le responsabilità per tutti e vestire "Il costume da torero" per provare a cambiare il mondo, o quanto meno a trovargli un senso. Se De André in "Girotondo" usava un coro di bambini per esorcizzare la paura della guerra, Brunori lo utilizza per allontanare i turbamenti per una realtà fallace e sostanzialmente di merda, in cui si potrebbe vincere se si fosse cinici fino in fondo. 

Nella parte finale del disco il riferimento centrale è l'io. "Secondo me" riflette sul perbenismo e il suo contrario, sull'ipocrisia e le visioni egocentriche, che non tengono conto della visione altrui ("chissà com'è invece il mondo visto da te"). Alla fine è a casa che si torna, una volta usciti, a perdersi nel sorriso di chi ti aspetta.
"La vita pensata" cerca di tirare le le somme di tutta la riflessione: "la vita va vissuta senza trovarci un senso". La chiave di volta è nei continui ribaltamenti di senso presenti nel disco. Bisogna sì cercare risposte, consci del fatto che probabilmente non ci saranno, o capovolgeranno le nostre certezze. La poetica di Dario Brunori scova sotto l'orpello delle velleità e delle presunte certezze la sostanziale precarietà, in una sorta di pirandelliano dualismo tra la "pena di vivere così" e i risvolti grotteschi dei patimenti umani.
"A casa tutto bene" è una riunione delle paure e dei dubbi dell'uomo, è un dialogo a più voci; un coro al cui centro, emotivamente, fisicamente, tematicamente, si colloca il cantautore con la sua vita a metà tra stato liquido e gassoso, tra la via urbana e i letti di fiumare. È uno sguardo umano all'umanità di mezzo. E in medio stat virtus.

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